È tornato ad esibirsi in Italia con la sua Time Machine Band che annovera batteria, basso, chitarra, tastiere, trombone, tromba e sassofono, il leggendario Billy Cobham, talentuoso batterista jazz-fusion-rock statunitense e originale compositore.
Nato il 16 maggio 1944 a Panama, William C. Cobham si è trasferito con la famiglia a New York dove, nel 1962, si è diplomato alla High School of Music and Art. Sin dagli inizi degli anni ’70, si è affermato come fuoriclasse e punto di riferimento per il mondo musicale del jazz-fusion, grazie ad esecuzioni contraddistinte da una prorompente potenza rock unita a grande capacità tecnica percussiva e agilità di esecuzione tipica del jazz.
Artefice di numerosi progetti musicali, Cobham crea sempre una certa attesa, quella aspettativa che solo gli abitanti dell’Olimpo sanno farti provare. Fonte di ispirazione per mostri sacri come il batterista Phil Collins, Cobham nel corso della sua lunga carriera, oltre a produzioni tutte sue, si è esibito con artisti del calibro dei chitarristi George Benson e Carlos Santana, del trombettista Miles Davis, con cui ha registrato una mezza dozzina di album tra cui Bitches Brew (che può essere considerato l’origine della fusion) e del cantante-compositore-produttore Peter Gabriel, per citarne alcuni.
Nella suggestiva cornice del Blue Note, tempio milanese della musica autoriale, Cobham, accompagnato da musicisti di incredibile sensibilità e maestria, con i suoi straordinari brani ha ricordato alla eterogenea platea dei presenti, che la musica è vita e sogno, è un medium capace di accendere tutti i sensi e far emergere ed esplodere il proprio sentire. È una lingua che fa vibrare e mette in connessione le due componenti di cui siamo fatti, la nostra parte più nobile, l’anima, e la nostra parte più terrena, la dimensione corporea.
Sin dal suo ingresso in scena, sorretto da un bastone, unico indizio dei suoi ottant’anni suonati, Cobham e la sua band hanno fatto emozionare, divertire, esultare, alternando esecuzioni corali a incredibili assoli, in cui loro stessi, nel prodigarsi in tali toccanti virtuosismi, hanno trovato un evidente appagamento.
In novanta minuti circa di concerto, che si può definire “intimo” vista l’ambientazione in cui ha avuto luogo, Cobham e la band hanno snocciolato un successo dopo l’altro. In chiusura di un’indimenticabile serata, quasi a voler serrare un cerchio che traccia il suo perimetro da più di mezzo secolo, è stata la volta dell’inarrivabile Red Baron, brano fusion di Spectrum, album d’esordio di Cobham come solista – interamente scritto da lui come molti altri suoi dischi – nonché cardine della musica jazz grazie al soffio di innovatività che ha proiettato sulla scena musicale degli anni settanta.
(Virginia Nicoletti)