Nell’arte e nella comunicazione, ci sono momenti in cui l’estetica incontra l’etica, producendo opere che travalicano i confini del visibile per affrontare questioni profonde e universali. Tra questi momenti si colloca la mostra “We On Death Row”, inaugurata nel 2000 alla Photographers’ Gallery di Londra da Oliviero Toscani in collaborazione con l’associazione Nessuno tocchi Caino.
Allestita nel cuore dell’East End londinese, in un’ex fabbrica di birra riconvertita in spazio espositivo, la mostra presentava ventisei scatti realizzati da Toscani tra il 1998 e il 1999 nei bracci della morte di diverse carceri statunitensi. Le fotografie, stampate su grandi pannelli di un metro e mezzo per due, non erano semplicemente immagini: erano ritratti che catturavano l’essenza di uomini e donne in attesa della pena capitale. Ogni scatto rivelava volti segnati dal tempo, dalle colpe e dalla possibilità di redenzione, ponendo lo spettatore di fronte alla complessità dell’umanità.
La forza di queste immagini risiedeva nella loro capacità di umanizzare coloro che la società aveva relegato nell’ombra. Come sostenuto da Nessuno tocchi Caino, la persona della pena non è necessariamente la stessa che ha commesso il delitto. La pena, per quanto dura e definitiva, può rappresentare un percorso di cambiamento e rinascita. Toscani ha reso visibile questa trasformazione, mostrando i condannati a morte come esseri umani capaci di riscoprire un’innocenza, non del crimine, ma dello spirito.

Nonostante il valore artistico e morale, la campagna fu oggetto di forti opposizioni, soprattutto negli Stati Uniti, dove il tema della pena capitale divide l’opinione pubblica. La controversia culminò nella fine della storica collaborazione tra Toscani e Benetton, durata 18 anni. “All’inizio Benetton appoggiava la campagna, ma poi hanno iniziato ad avere paura di perdere il loro mercato”, dichiarò Toscani durante l’inaugurazione londinese. “Benetton ha avuto la possibilità di diventare la prima casa d’abbigliamento a battersi per la difesa dei diritti umani, ma ha scelto di privilegiare i profitti.”
La mostra non fu un evento isolato, ma parte di un impegno più ampio. Con Nessuno tocchi Caino, si lanciò un appello al governo britannico affinché promuovesse, durante la presidenza di turno dell’Unione Europea nel 2005, una risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali. La moratoria rappresentava un terreno comune tra Paesi abolizionisti e mantenitori, offrendo ai secondi una via per avvicinarsi gradualmente all’abolizione.
Il percorso culminò nel dicembre 2007, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la moratoria universale. Questo risultato fu raggiunto anche grazie a una seconda campagna di Toscani per Nessuno tocchi Caino, intitolata “Nessuno tocchi Saddam”, che denunciava la condanna a morte dell’ex dittatore iracheno e il rischio di perpetuare una cultura della violenza.
Le fotografie di Toscani non si limitano a documentare; immortalano e danno voce. Quegli scatti, che raffigurano i condannati a morte nella loro cruda realtà, li hanno resi simboli di una battaglia universale per i diritti umani. Hanno permesso al mondo di guardarli non come numeri in un registro, ma come persone. E in quell’umanità, per quanto complessa e imperfetta, risiede il messaggio di Toscani: la pena di morte non cancella il delitto, né restituisce la giustizia. Può solo perpetuare un ciclo di sofferenza.
A distanza di anni, il messaggio di “We On Death Row” rimane attuale. La mostra e il suo contesto storico-politico rappresentano un monito contro l’indifferenza e un invito a considerare le implicazioni etiche e morali della giustizia penale. Gli scatti di Oliviero Toscani continuano a parlarci, testimoniando che l’arte, quando si intreccia con la denuncia sociale, può trasformarsi in un potente strumento di cambiamento.
