(Federica Cannas) C’è un’Italia che non esiste più, ma che sopravvive nelle smorfie, nelle vocette, nei tic e nelle battute di un uomo, di un grande attore che, più di chiunque altro, ha raccontato il nostro Paese con ferocia e amore. Alberto Sordi è stato il più grande specchio deformante della nostra società, capace di riflettere vizi, manie e debolezze senza mai trasformarsi in un giudice severo. Lui rideva con noi, e di noi, e per questo l’abbiamo amato senza riserve.
Chi è cresciuto con i suoi film sa bene che Sordi non era solo il “Marchese del Grillo” o “il vigile” tutto impettito. Sordi era l’Italia stessa, in tutte le sue sfumature: furbo e vigliacco, romantico e spietato, magnanimo e meschino. Era il giovane che sognava la Dolce Vita e il borghese in doppiopetto che voleva apparire migliore di quel che era. Era il soldato che si ritrovava spaesato nella guerra, il marito tradito e il dongiovanni da strapazzo, il cialtrone e il sognatore.
Nessuno come lui ha saputo raccontare la commedia umana con una risata che spesso lasciava l’amaro in bocca. E chi può dimenticare Il medico della mutua, dove il dottor Tersilli diventa l’emblema di un sistema sanitario corrotto, gestito con il cinismo di un commerciante?
Eppure, nonostante il cinismo e la satira, Sordi non ha mai giudicato con superiorità i suoi personaggi. Li amava, anche quando erano meschini. Perché sapeva che, dentro di loro, c’eravamo tutti noi. In ognuno dei suoi vigliacchi, codardi e approfittatori c’era un pezzetto del nostro vicino di casa, del nostro collega, magari anche di noi stessi.
Roma senza Alberto Sordi sarebbe una città diversa. Le sue strade, i suoi quartieri, perfino i suoi autobus portano ancora l’eco delle sue battute. Era romano fino al midollo, ma mai localistico. Parlava a tutta l’Italia. Il Marchese del Grillo con il suo “Perché io so’ io e voi non siete un…” è la sintesi perfetta di un certo modo di intendere il potere. Un borghese piccolo piccolo è il ritratto brutale dell’italiano medio che, di fronte al dolore, si trasforma in un mostro. E poi c’è I vitelloni, che ha segnato un’epoca, con quel “Lavoratori? Prrrrr!” diventato leggenda.
Sordi è stato il principe della risata, ma anche il narratore dell’ipocrisia nazionale. Ha mostrato l’italiano che si arrangia, quello che fa il gradasso ma poi abbassa la testa, quello che si crede migliore degli altri ma poi alla prima occasione si infila nel sistema. Senza di lui, non avremmo mai visto l’Italia così com’era.
Cosa resta di Sordi oggi? Tutto. Perché i suoi personaggi non sono scomparsi. Li ritroviamo nelle notizie di cronaca, nei racconti di chi ha vissuto l’Italia di ieri e di oggi. Il traffichino, il borghese impaurito, il politico che promette e non mantiene, il marito che si atteggia a latin lover ma che poi torna sempre dalla moglie. Sono tutti ancora lì, vivi e vegeti. Sordi ci ha lasciato un Paese da studiare, da ridere e da capire, con il sorriso amaro di chi sa che, in fondo, l’Italia è proprio quella che lui ci ha raccontato.
E forse, se ogni tanto ci fermiamo a ridere davanti a uno dei suoi film, è perché sentiamo che quella risata ci appartiene. Un po’ come lui appartiene a tutti noi.