La trasformazione radicale della Russia, che ebbe inizio con la Rivoluzione di Febbraio del 1917 – punto di rottura con il passato assolutistico e inizio dell’era sovietica -, portò alla deposizione dello Zar Nicola II e alla contestuale fine della dinastia dei Romanov, famiglia che, dalla salita al potere di Michele I nel 1613, aveva governato la Russia per oltre trecento anni.
Posto agli arresti domiciliari assieme a tutti i membri della sua famiglia, nel Luglio del 1918 Nicola II, colpevole di essere il simbolo supremo della disconosciuta autocrazia, venne brutalmente trucidato dai bolscevichi assieme alla moglie Alessandra Feodorovna, alle figlie Marija, Ol’ga,Tat’jana, alla quartogenita Anastasija (Anastasia), al figlio Aleksej e a quattro fedeli servitori rimasti con loro.
Il silenzio delle fonti “ufficiali”, che calò per lungo tempo attorno alla loro reale sorte (per l’indicibile atrocità e l’insensatezza del fatto prima, e a causa dalla repressione della pubblica discussione sull’argomento voluta da Stalin, poi), creò la condizione ottimale per il proliferare di impostori a caccia di eredità, dediti a sostenere di essere l’uno o l’altro figlio sopravvissuto dello Zar. Toccò soprattutto ad Anastasia il ruolo di principale protagonista di questi deprecabili episodi.
Il divisivo caso di Anna Anderson, paziente di un ospedale psichiatrico di Berlino che sostenne dal 1920 sino alla sua morte di essere la rediviva Granduchessa Anastasia, diede linfa alla controversa, longeva e tragico-romantica leggenda dell’unica sopravvissuta all’eccidio, definitivamente sconfessata nel 2007 a seguito del ritrovamento e riconoscimento tramite DNA dei resti mancanti dei membri della famiglia Romanov, rinvenuti nei luoghi teatro della tragedia del 1918 (nove corpi delle undici vittime erano stati riesumati nel 1991 e nel 1994 l’analisi del DNA della Anderson aveva già chiarito il dilemma sulla sua reale identità).
L’intrigante leggenda, rimaneggiata ed arricchita con svariate licenze poetiche dalla penna creativa di scrittori, autori e sceneggiatori, è stata fonte di ispirazione di diverse opere: ad essa è dedicato il musical di Broadway “Anastasia”, del 2017 – libretto di Terrence McNally, musiche di Stephen Flaherty e testi di Lynn Ahrens -, trasposizione teatrale dell’omonimo film d’animazione di Don Bluth e Gary Goldman, prodotto un decennio prima dalla 20th Century Fox, la cui trama ruota attorno al personaggio della giovane orfana Anya che scopre, tra mille peripezie e grazie a due imbroglioni (Dimitry e Vlad), di essere Anastasia; da menzionare anche la pièce dell’autrice francese Marcelle Maurette da cui, nel 1956, Guy Bolton trasse l’adattamento cinematografico diretto da Anatole Litvak, con protagonisti Yul Brynner e Ingrid Bergman nel ruolo di Anastasia, che le valse l’Oscar come miglior attrice.
“Anastasia – il musical”, prodotto da Broadway Italia nella versione tradotta ed adattata in italiano da Franco Travaglio e diretta da Federico Bellone coadiuvato da Chiara Vecchi, è in tournée tra Torino, Roma e Firenze fino a maggio 2025, dopo aver furoreggiato a Trieste e a Milano, dove, presso il Teatro Arcimboldi, ho assistito ad una delle rappresentazioni.
Nonostante le recensioni positive non avevo idea di cosa aspettarmi, e non nascondo che i miei soliti preconcetti sugli adattamenti dei musical in una lingua diversa da quella in cui sono stati concepiti, hanno pesato negativamente sull’aspettativa. In realtà (lo scrivo con la gioia nel cuore!) ho apprezzato moltissimo lo spettacolo e la sua struttura, non solo per l’impeccabile regia che ha saputo valorizzare la competenza e la precisione esecutiva di tutti i professionisti coinvolti, ma anche per il grande impatto di coreografie, scenografie e costumi, e la resa di luci ed effetti speciali visivi e fonici, molto molto suggestivi.
Le interpretazioni offerte dai membri del cast sono state tutte molto sentite, ed hanno coinvolto e commosso gli spettatori in sala: l’attrice Sofia Caselli, nei panni di Anastasia, mi ha stregato con la sua voce vibrante e la grazia nelle movenze, e Cristian Catto, in quelli di Dimitri, è riuscito in più occasioni a catalizzare completamente la scena.
Regale la performance di Carla Schneck nei panni dell’Imperatrice Madre Marija Fëdorovna, ruolo non per tutti per la presenza scenica che richiede; brillante e divertente il personaggio di Vladimir Popov, impersonato dal bravissimo Nico Di Crescenzo; fresca e scoppiettante la prova di Stefania Fratepietro nei panni della Contessa Lily Malevsky-Malevitch; last but not least, drammatico e intenso il generale bolscevico Gleb Vaganov interpretato magistralmente da Brian Boccuni.
Straordinaria l’esecuzione dal vivo della colonna sonora, suonata dall’orchestra (sempre celata alla vista dello spettatore) diretta dal maestro Giovanni Maria Lori, che consta di canzoni iconiche e commoventi come “Quando viene dicembre” e “Viaggio nel passato”. (“Once upon a December” e “Journey to the past” nella versione originale).