(Federica Cannas) Buenos Aires, 1977. Manca ancora qualche mese all’inizio del Mondiale che l’Argentina ospiterà nel 1978, ma il clima è già denso di attese e tensioni. La dittatura militare di Jorge Rafael Videla governa con il pugno di ferro, mentre il calcio si prepara a diventare lo strumento di una grande messa in scena per il mondo.
In città si svolgono i sorteggi dei gironi, e tra i presenti c’è Enzo Bearzot, commissario tecnico dell’Italia, venuto fin lì per seguire da vicino le fasi organizzative. Con lui, in quei giorni, anche Omar Sívori, leggenda della Juventus e del calcio argentino, e amico stimato. È un momento in cui si parla di pallone, si incrociano volti noti, si gettano le basi del torneo che dovrà raccontare al mondo un’Argentina forte e sicura. Ma dietro le quinte, la repressione è già in atto, feroce e invisibile. Chi è attento la percepisce.
Di notte, Buenos Aires cambia volto. Le famigerate Ford Falcon verdi, senza targa, scivolano silenziose nell’oscurità. Si fermano davanti alle case, caricano uomini, donne, ragazzi. Arresti senza spiegazioni, senza ritorno. Di giorno le strade sembrano le stesse, ma tutto è cambiato. Migliaia di persone spariscono, inghiottite da un regime che cancella i suoi nemici senza lasciare tracce.
In quella Buenos Aires afosa, Bearzot, uomo schivo, diretto, che non ama la retorica, incontra il giornalista Gian Paolo Ormezzano, con cui condivide pensieri, silenzi e la passione per un calcio onesto. Poi c’è Omar Sívori, ex fuoriclasse della Juventus, abituato a dire sempre quello che pensa.
Quella sera si ritrovano insieme, in un ristorante italiano. Si ride, si scherza, si ricorda il passato. Ma la politica irrompe, inevitabile. Sívori, come molti argentini dell’epoca, fatica a credere ai racconti sulla brutalità del regime. Non è leggerezza, ma l’effetto di una dittatura che ha saputo nascondere il terrore dietro una facciata di normalità, rendendo invisibile l’orrore, soprattutto agli occhi di chi vive il quotidiano e vuole credere in un Paese diverso.
Ormezzano prova a fargli vedere un’altra verità, quella più scomoda. Sívori è incredulo, perché il male, in Argentina, si muove silenzioso, a differenza di quanto accaduto pochi anni prima nel Cile di Pinochet, dove la feroce repressione era avvenuta sotto gli occhi del mondo.
Dopo cena, l’idea ingenua di andare a prendere un gelato. Fa caldo, sembra tutto tranquillo. Le giacche restano al ristorante.
Pochi minuti e la verità si presenta. Un’auto senza targa, una frenata violenta, e uomini armati che scendono, mitra puntati. È un controllo. “Documenti!”. Solo Ormezzano li ha con sé.
Sívori non riesce a contenersi. Reagisce d’istinto, alza la voce. Ma i militari restano immobili, muti, impassibili. I mitra sempre puntati, come se non sentissero, o peggio, come se non gliene importasse nulla.
Ogni parola di Sívori scivola nel vuoto.
Accanto a lui, Bearzot capisce subito la gravità del momento. Non serve discutere, sa che la tensione può esplodere in un attimo. Si piega verso Ormezzano, con la calma di chi non si lascia travolgere, e gli suggerisce di calmare Sívori. Non è timore, è la consapevolezza che in quel momento la salvezza passa per il silenzio.
Un’altra auto arriva, scendono altri uomini. Si consultano. Alla fine li riconoscono. Ma non si scusano. Solo un ordine secco: “Andate via. Subito.”
Sívori è ancora furioso, vuole spiegazioni. Ma Bearzot e Ormezzano lo trascinano via. Lo buttano in macchina. La notte è finita, la lezione no.
Ormezzano, solo anni dopo, quando tutto è passato, racconta questa storia in un libro. La leggerezza che diventa paura, la tensione che si taglia con lo sguardo, la prontezza e il sangue freddo di Bearzot, uomo di carattere.
Sempre anni dopo, lontani da quella notte, durante una chiacchierata tra amici, Sívori e Bearzot tornarono su quell’episodio. Lo fecero con la complicità di chi ha condiviso qualcosa che non si dimentica, senza bisogno di troppe parole. Entrambi sapevano quanto erano andati vicini al peggio, quanto sottile fosse stato il confine tra una serata tra amici e una tragedia mai raccontata.
Sívori quella notte aveva compreso che la dittatura argentina era una presenza reale, soffocante, capace di travolgere chiunque, anche chi pensava di poterne restare fuori.
Bearzot, quella sera, fece ciò che serviva. Rimase lucido, colse il pericolo e mantenne la calma, evitando a tutti il punto di non ritorno. Con la prontezza di chi sa leggere il momento e agire con buon senso.
In città si svolgono i sorteggi dei gironi, e tra i presenti c’è Enzo Bearzot, commissario tecnico dell’Italia, venuto fin lì per seguire da vicino le fasi organizzative. Con lui, in quei giorni, anche Omar Sívori, leggenda della Juventus e del calcio argentino, e amico stimato. È un momento in cui si parla di pallone, si incrociano volti noti, si gettano le basi del torneo che dovrà raccontare al mondo un’Argentina forte e sicura. Ma dietro le quinte, la repressione è già in atto, feroce e invisibile. Chi è attento la percepisce.
Di notte, Buenos Aires cambia volto. Le famigerate Ford Falcon verdi, senza targa, scivolano silenziose nell’oscurità. Si fermano davanti alle case, caricano uomini, donne, ragazzi. Arresti senza spiegazioni, senza ritorno. Di giorno le strade sembrano le stesse, ma tutto è cambiato. Migliaia di persone spariscono, inghiottite da un regime che cancella i suoi nemici senza lasciare tracce.
In quella Buenos Aires afosa, Bearzot, uomo schivo, diretto, che non ama la retorica, incontra il giornalista Gian Paolo Ormezzano, con cui condivide pensieri, silenzi e la passione per un calcio onesto. Poi c’è Omar Sívori, ex fuoriclasse della Juventus, abituato a dire sempre quello che pensa.
Quella sera si ritrovano insieme, in un ristorante italiano. Si ride, si scherza, si ricorda il passato. Ma la politica irrompe, inevitabile. Sívori, come molti argentini dell’epoca, fatica a credere ai racconti sulla brutalità del regime. Non è leggerezza, ma l’effetto di una dittatura che ha saputo nascondere il terrore dietro una facciata di normalità, rendendo invisibile l’orrore, soprattutto agli occhi di chi vive il quotidiano e vuole credere in un Paese diverso.
Ormezzano prova a fargli vedere un’altra verità, quella più scomoda. Sívori è incredulo, perché il male, in Argentina, si muove silenzioso, a differenza di quanto accaduto pochi anni prima nel Cile di Pinochet, dove la feroce repressione era avvenuta sotto gli occhi del mondo.
Dopo cena, l’idea ingenua di andare a prendere un gelato. Fa caldo, sembra tutto tranquillo. Le giacche restano al ristorante.
Pochi minuti e la verità si presenta. Un’auto senza targa, una frenata violenta, e uomini armati che scendono, mitra puntati. È un controllo. “Documenti!”. Solo Ormezzano li ha con sé.
Sívori non riesce a contenersi. Reagisce d’istinto, alza la voce. Ma i militari restano immobili, muti, impassibili. I mitra sempre puntati, come se non sentissero, o peggio, come se non gliene importasse nulla.
Ogni parola di Sívori scivola nel vuoto.
Accanto a lui, Bearzot capisce subito la gravità del momento. Non serve discutere, sa che la tensione può esplodere in un attimo. Si piega verso Ormezzano, con la calma di chi non si lascia travolgere, e gli suggerisce di calmare Sívori. Non è timore, è la consapevolezza che in quel momento la salvezza passa per il silenzio.
Un’altra auto arriva, scendono altri uomini. Si consultano. Alla fine li riconoscono. Ma non si scusano. Solo un ordine secco: “Andate via. Subito.”
Sívori è ancora furioso, vuole spiegazioni. Ma Bearzot e Ormezzano lo trascinano via. Lo buttano in macchina. La notte è finita, la lezione no.
Ormezzano, solo anni dopo, quando tutto è passato, racconta questa storia in un libro. La leggerezza che diventa paura, la tensione che si taglia con lo sguardo, la prontezza e il sangue freddo di Bearzot, uomo di carattere.
Sempre anni dopo, lontani da quella notte, durante una chiacchierata tra amici, Sívori e Bearzot tornarono su quell’episodio. Lo fecero con la complicità di chi ha condiviso qualcosa che non si dimentica, senza bisogno di troppe parole. Entrambi sapevano quanto erano andati vicini al peggio, quanto sottile fosse stato il confine tra una serata tra amici e una tragedia mai raccontata.
Sívori quella notte aveva compreso che la dittatura argentina era una presenza reale, soffocante, capace di travolgere chiunque, anche chi pensava di poterne restare fuori.
Bearzot, quella sera, fece ciò che serviva. Rimase lucido, colse il pericolo e mantenne la calma, evitando a tutti il punto di non ritorno. Con la prontezza di chi sa leggere il momento e agire con buon senso.