di Federica Cannas- All’inizio è stato il buio. Un blackout improvviso e simultaneo che ha avvolto Spagna, Portogallo e una parte della Francia del sud in una specie di silenzio elettrico. Come se qualcuno avesse staccato la spina al XXI secolo.
A Barcellona le metropolitane si sono bloccate tra due stazioni, a Lisbona le linee telefoniche hanno cominciato a cadere una dopo l’altra, a Madrid il traffico ha iniziato a impazzire. La prima reazione? Il panico. Inevitabile. Poi, la domanda che serpeggia in questi tempi di guerra ibrida e attacchi informatici. È stato un cyberattacco?
Le autorità non hanno escluso nulla, almeno per le prime ore. Ma mentre i tecnici scavavano tra dati e codici, e gli esperti dell’ENISA parlavano di “vibrazioni atmosferiche indotte” – un guasto raro quanto il termine stesso – qualcosa di sorprendente accadeva nelle città iberiche.
Nelle piazze. Nelle strade.
Senza internet, senza telefoni, senza tv e nemmeno Netflix a consolare i più giovani, le persone hanno fatto una cosa semplice e rivoluzionaria, si sono cercate.
Fuori dai portoni, sui marciapiedi, nelle piazze delle città, i vicini hanno iniziato a parlare. Alcuni hanno portato le sedie di casa in strada. Qualcuno ha preso una chitarra, qualcun altro ha acceso una candela. Sono partiti canti spontanei, risate, perfino balli.
Senza il filtro delle notifiche, le persone hanno riscoperto il valore dello stare insieme, la bellezza di una conversazione senza fretta, l’autenticità di un gesto, di uno sguardo, di una risata condivisa. Ha condiviso l’attesa come si condivide una sera d’estate, lenta e dolce. È successo tutto in poche ore, prima che la corrente tornasse a scorrere e tutto riprendesse il ritmo forsennato di sempre.
Eppure quelle ore sospese, incerte, piene di domande ma anche di gesti gentili, hanno lasciato qualcosa. Una sensazione quasi dimenticata. Quella di appartenere a una comunità.
Il blackout del 28 aprile 2025 verrà ricordato per l’interruzione massiccia di corrente, certo. Ma chi c’era, chi l’ha vissuto, lo racconterà come un piccolo ritorno all’essenziale. Una parentesi in cui la tecnologia ha smesso di mediare i rapporti e le persone hanno ricominciato a guardarsi negli occhi. Per qualche ora sono tornate semplicemente persone. E, forse, un po’ più vive.
A Barcellona le metropolitane si sono bloccate tra due stazioni, a Lisbona le linee telefoniche hanno cominciato a cadere una dopo l’altra, a Madrid il traffico ha iniziato a impazzire. La prima reazione? Il panico. Inevitabile. Poi, la domanda che serpeggia in questi tempi di guerra ibrida e attacchi informatici. È stato un cyberattacco?
Le autorità non hanno escluso nulla, almeno per le prime ore. Ma mentre i tecnici scavavano tra dati e codici, e gli esperti dell’ENISA parlavano di “vibrazioni atmosferiche indotte” – un guasto raro quanto il termine stesso – qualcosa di sorprendente accadeva nelle città iberiche.
Nelle piazze. Nelle strade.
Senza internet, senza telefoni, senza tv e nemmeno Netflix a consolare i più giovani, le persone hanno fatto una cosa semplice e rivoluzionaria, si sono cercate.
Fuori dai portoni, sui marciapiedi, nelle piazze delle città, i vicini hanno iniziato a parlare. Alcuni hanno portato le sedie di casa in strada. Qualcuno ha preso una chitarra, qualcun altro ha acceso una candela. Sono partiti canti spontanei, risate, perfino balli.
Senza il filtro delle notifiche, le persone hanno riscoperto il valore dello stare insieme, la bellezza di una conversazione senza fretta, l’autenticità di un gesto, di uno sguardo, di una risata condivisa. Ha condiviso l’attesa come si condivide una sera d’estate, lenta e dolce. È successo tutto in poche ore, prima che la corrente tornasse a scorrere e tutto riprendesse il ritmo forsennato di sempre.
Eppure quelle ore sospese, incerte, piene di domande ma anche di gesti gentili, hanno lasciato qualcosa. Una sensazione quasi dimenticata. Quella di appartenere a una comunità.
Il blackout del 28 aprile 2025 verrà ricordato per l’interruzione massiccia di corrente, certo. Ma chi c’era, chi l’ha vissuto, lo racconterà come un piccolo ritorno all’essenziale. Una parentesi in cui la tecnologia ha smesso di mediare i rapporti e le persone hanno ricominciato a guardarsi negli occhi. Per qualche ora sono tornate semplicemente persone. E, forse, un po’ più vive.