Domenica 26 gennaio si concluderà la mostra Munch – il grido interiore, esposizione che Palazzo Reale ha dedicato ad Edvard Munch, artista tra i più amati e popolari del secolo scorso, in occasione dell’ottantesimo anniversario della sua morte.Realizzata in collaborazione con il Museo Munch di Oslo, tempio che la sua patria natale, la Norvegia, gli ha consacrato per custodire moltissimi dei tesori della sua vasta produzione, questo progetto eccezionale ha portato a Milano, quarant’anni dopo l'ultima esposizione in Italia, un centinaio di opere, proposte al visitatore in un allestimento studiato per accompagnarlo attraverso le fasi più importanti del suo percorso artistico.
Nato nel 1863 in una fattoria e cresciuto in una Oslo, allora Christiania (in onore diCristiano IV re di Danimarca e Norvegia), agitata dalla rivolta intellettuale dei giovani artisti “bohémiens”, Munch sostituì alla ricerca della verità oggettiva della sua formazione accademica, la provocatoria libertà espressiva guidata dalla soggettività, anticipando molte delle istanze emotive e psicologiche caratteristiche dell'arte moderna, tanto da essere considerato oltreché un precursore dell'Espressionismo e un simbolista, l’interprete per antonomasia delle più profonde inquietudini dell’animo umano.
Le opere di Munch si distinguono per la penetrante e ricorrente esplorazione di temi quali dolore, malinconia, solitudine, amore e morte, contenuti che emergono con forza nei suoi lavori. Il suo stile – segnato da linee sinuose che ricordano l'andamento fluttuante delle aurore e le caratteristiche morfologiche della sua terra natia, da colori vigorosi e vibranti e da composizioni dalla articolata semiotica plastica e figurativa, concepite come una partitura musicale dal timbro violentemente sordo -, è più influenzato da ricordi personali che dai tradizionali modelli storico artistici; esso rispecchia un'anima tormentata, condizionata dalla perdita prematura della madre e della sorella, dalla tragica morte del padre, dalla complicata relazione con la fidanzata Tulla Larsen e dalla malattia mentale, fardello condiviso con molti membri della sua famiglia. Ed è proprio lo spirito autobiografico che ha contribuito a formare la sua poetica e permeato la sua attività artistica che gli ha permesso, grazie al suo talento eccezionale, di concepire opere d’arte che rappresentano messaggi universali.
L'esposizione Milanese, che ha consegnato al (mio!) nostro sguardo capolavori capaci di suscitare reazioni intense, in virtù del carico viscerale che le permea – tra cui una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895), Amore e dolore, chiamato spesso anche Il Vampiro (1895), La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901) e Danza Sulla spiaggia (1904) -, è contraddistinta da un titolo “il grido interiore”, che ci rimanda a un simbolo assoluto, un'esplosione di energia psichica di inaudita potenza che viene dall’interno, più forte del frastuono del mondo, che Munch ha sintetizzato ne L’Urlo, uno dei quadri più celebri dell'arte mondiale ed ineguagliabile emblema dell'angoscia dell'uomo.
Personalmente ho vissuto questa mostra come un momento di scoperta, perché, a differenza di altri artisti, non è consueto poter vedere dal vivo opere di Munch; sono rimasta così colpita dal vigore dei suoi straordinari dipinti, da sentire il bisogno di approfondire la conoscenza recandomi ad Oslo durante le vacanze natalizie, per poter ammirare le diverse versioni de L’Urlo e molti altri capolavori (visionabili al Munch Museet, alla Nasjonalgalleriet e nell'aula magna dell’Università di Oslo).
(Virginia Nicoletti)