(di Federica Cannas) Pennelli che pesano come martelli e muri che, invece di dividere, raccontano. Il Primo Maggio, tra le tante celebrazioni, ha anche una sua storia silenziosa e potentissima che resiste sui muri del Cile. È la storia della Brigada Ramona Parra, la brigata grafica del Partito Comunista cileno, nata negli anni ’60 e diventata leggenda.
Non facevano comizi, ma murales. Non urlavano slogan, ma li dipingevano con i colori primari, netti e vibranti, su superfici polverose, sotto la luna, tra le strade di Santiago e delle città minori. Erano studenti, operai, artisti, ragazze e ragazzi. Una vera brigata, nel senso militante e affettivo del termine. Il loro nome, Ramona Parra, era già tutto un programma. Una giovane operaia, uccisa durante una manifestazione sindacale nel 1946. Il loro modo di lottare era far esplodere la vita sui muri, laddove il potere cercava di cancellare ogni traccia di umanità.
Nel Cile che sognava un socialismo umano e popolare, fatto di empanadas condivise e bicchieri di vino rosso, i murales della Brigada raccontavano il lavoro non come fatica, ma come orgoglio. Mani enormi che stringevano attrezzi, volti sereni ma fieri, contadini, minatori, madri. Ogni muro era una piazza alternativa, una manifestazione silenziosa. Si dipingeva per dare dignità, per gridare a colori, per occupare lo spazio pubblico con le immagini di chi lo costruiva davvero.
I loro muri parlavano una lingua semplice e potente, fatta di simboli che si ripetevano.
Una stella rossa dentro una goccia di sangue tracciava la memoria di Ramona e di ogni vita spezzata per la giustizia. Mani enormi, capaci di sollevare il mondo, stringevano martelli, falci o spighe, perché il lavoro, per loro, era sacro. I volti, sempre fermi e fieri, erano quelli del popolo: operai, contadine, madri, studenti. Nessun eroe solitario. Solo umanità in lotta.
Tra le figure stilizzate si alzavano uccelli colorati, simboli di libertà e speranza, mentre linee nere spesse delineavano ogni contorno, come a dire “qui nessuno verrà cancellato”. I colori erano i primari. Rosso, blu, giallo. Essenziali e vivi, come le emozioni più profonde. Nulla era casuale. Tutto era politica, ma anche poesia.
Guardando quei muri, si capiva subito da che parte stavano. Dà quella di chi lavora, sogna e resiste.
Il Primo Maggio, per loro, era un’occasione per lasciare un segno. Si organizzavano come un’orchestra. Chi tracciava i contorni, chi riempiva di rosso, di blu, di nero. Un lavoro collettivo, sincronizzato, pieno di ritmo. Una vera e propria militanza artistica. E se la dittatura veniva a cancellare quei murales, loro tornavano. E li rifacevano. Ancora più grandi. Ancora più vivi.
Non c’era firma. Nessun nome. Solo un simbolo. E un senso di comunità che oggi sembra quasi rivoluzionario. Nessuno si prendeva il merito, perché il merito era del popolo.
Oggi, i murales della Brigada Ramona Parra continuano ad apparire nei quartieri popolari del Cile, come tracce vive di un’idea di mondo dove il lavoro non è sfruttamento, ma dignità, non è solitudine, ma alleanza. Dove l’arte non è decoro, ma messaggio. Dove ogni pennellata continua a dire ciò che nessun telegiornale racconta.
Nel giorno che celebra chi lavora, chi resiste, chi costruisce con le mani e con la testa, ricordiamoci anche di loro. Di chi ha trasformato i muri in voci, e il colore in una forma di lotta che non sbiadisce. Il Primo Maggio della Brigada Ramona Parra è un grido dipinto che continua a parlare.