(Federica Cannas) Il premio Nobel José Saramago è stato un intellettuale militante, un osservatore attento della realtà, capace di trasformare la letteratura in uno strumento di riflessione e denuncia. Le sue parole non si sono mai limitate alla dimensione narrativa.
Ha sempre guardato il mondo con occhi lucidi e impietosi. Ha raccontato la realtà, mettendola in discussione e denunciandola, quando necessario.
Il suo impegno non si è fermato ai confini del Portogallo, ma ha abbracciato tutte le ingiustizie del mondo, portando la sua voce laddove il potere tentava di soffocare la verità. Tra le battaglie che ha scelto di combattere, quella per la Palestina è una ferita aperta che ha sempre rifiutato di ignorare.
La sua posizione è sempre stata netta. Quella vissuta dal popolo palestinese è una delle più grandi ingiustizie del nostro tempo. Non ha esitato a paragonare l’occupazione dei territori palestinesi all’apartheid sudafricano e a definirla una forma di colonialismo moderno. Quando ha paragonato la condizione dei palestinesi nei territori occupati a quella degli ebrei nei campi di concentramento nazisti ha suscitato polemiche immediate. Molti lo hanno accusato di banalizzare la Shoah e di demonizzare Israele. Ma lui ha ribattuto con il suo stile diretto e tagliente: “Il popolo ebraico ha sofferto una delle più grandi tragedie della storia, ma questo non giustifica che ne imponga un’altra a un altro popolo.”
Quella di Saramago non è stata una posizione ideologica, ma un atto di coerenza con la sua idea di giustizia. Non è mai stato tenero con nessuna forma di oppressione, indipendentemente da chi la esercitasse. E se in passato ha criticato i regimi comunisti quando si sono allontanati dai principi di uguaglianza e libertà, allo stesso modo si è scagliato contro la politica israeliana nei confronti dei palestinesi, vedendola come una negazione del diritto all’autodeterminazione di un intero popolo.
È stata una posizione contro la politica di occupazione e segregazione di Israele. Riteneva che lo Stato di Israele avesse il diritto di esistere, ma che questo diritto non potesse fondarsi sulla negazione dell’identità e dei diritti del popolo palestinese.
Per Saramago, il problema non è stato solo politico, ma morale. Ha visto nella sofferenza palestinese un fallimento dell’umanità, un’incapacità collettiva di imparare dalla storia. E ha creduto che l’Europa, troppo vincolata al senso di colpa per la Shoah, abbia chiuso gli occhi davanti a ciò che accade nei territori occupati.
Le sue dichiarazioni hanno continuato a creare dibattito anche negli anni successivi, ma Saramago non si è mai piegato alla diplomazia. È sempre stato convinto che il ruolo degli intellettuali non fosse quello di cercare il consenso, ma di dire la verità, anche quando questa è scomoda.
Nel contesto attuale, la sua voce sarebbe stata probabilmente ancora più dibattuta. Ma proprio per questo è ancora più necessaria.
Perché il coraggio di Saramago non è stato solo quello di prendere posizione, ma quello di ricordarci che la giustizia non può essere selettiva, che la libertà non può essere solo per alcuni e che la memoria non deve servire a giustificare nuove oppressioni.
Ha sempre creduto che i popoli non siano condannati a subire la storia, ma abbiano la possibilità di cambiarne il corso. E forse è proprio questa la sua eredità più grande.
L’idea che la giustizia non è mai una questione di schieramenti, ma di umanità.
Ha sempre guardato il mondo con occhi lucidi e impietosi. Ha raccontato la realtà, mettendola in discussione e denunciandola, quando necessario.
Il suo impegno non si è fermato ai confini del Portogallo, ma ha abbracciato tutte le ingiustizie del mondo, portando la sua voce laddove il potere tentava di soffocare la verità. Tra le battaglie che ha scelto di combattere, quella per la Palestina è una ferita aperta che ha sempre rifiutato di ignorare.
La sua posizione è sempre stata netta. Quella vissuta dal popolo palestinese è una delle più grandi ingiustizie del nostro tempo. Non ha esitato a paragonare l’occupazione dei territori palestinesi all’apartheid sudafricano e a definirla una forma di colonialismo moderno. Quando ha paragonato la condizione dei palestinesi nei territori occupati a quella degli ebrei nei campi di concentramento nazisti ha suscitato polemiche immediate. Molti lo hanno accusato di banalizzare la Shoah e di demonizzare Israele. Ma lui ha ribattuto con il suo stile diretto e tagliente: “Il popolo ebraico ha sofferto una delle più grandi tragedie della storia, ma questo non giustifica che ne imponga un’altra a un altro popolo.”
Quella di Saramago non è stata una posizione ideologica, ma un atto di coerenza con la sua idea di giustizia. Non è mai stato tenero con nessuna forma di oppressione, indipendentemente da chi la esercitasse. E se in passato ha criticato i regimi comunisti quando si sono allontanati dai principi di uguaglianza e libertà, allo stesso modo si è scagliato contro la politica israeliana nei confronti dei palestinesi, vedendola come una negazione del diritto all’autodeterminazione di un intero popolo.
È stata una posizione contro la politica di occupazione e segregazione di Israele. Riteneva che lo Stato di Israele avesse il diritto di esistere, ma che questo diritto non potesse fondarsi sulla negazione dell’identità e dei diritti del popolo palestinese.
Per Saramago, il problema non è stato solo politico, ma morale. Ha visto nella sofferenza palestinese un fallimento dell’umanità, un’incapacità collettiva di imparare dalla storia. E ha creduto che l’Europa, troppo vincolata al senso di colpa per la Shoah, abbia chiuso gli occhi davanti a ciò che accade nei territori occupati.
Le sue dichiarazioni hanno continuato a creare dibattito anche negli anni successivi, ma Saramago non si è mai piegato alla diplomazia. È sempre stato convinto che il ruolo degli intellettuali non fosse quello di cercare il consenso, ma di dire la verità, anche quando questa è scomoda.
Nel contesto attuale, la sua voce sarebbe stata probabilmente ancora più dibattuta. Ma proprio per questo è ancora più necessaria.
Perché il coraggio di Saramago non è stato solo quello di prendere posizione, ma quello di ricordarci che la giustizia non può essere selettiva, che la libertà non può essere solo per alcuni e che la memoria non deve servire a giustificare nuove oppressioni.
Ha sempre creduto che i popoli non siano condannati a subire la storia, ma abbiano la possibilità di cambiarne il corso. E forse è proprio questa la sua eredità più grande.
L’idea che la giustizia non è mai una questione di schieramenti, ma di umanità.