( di Federica Cannas) Se c’è un personaggio dei fumetti che rappresenta alla perfezione le piccole e grandi sconfitte della vita quotidiana, quel personaggio è Paperino. Non un eroe, non un santo, non un genio. Con un cappello da marinaio e un debole per i sogni troppo grandi.
Eppure, dentro quella goffa figura, si nasconde una delle più potenti rappresentazioni dell’essere umano moderno.
Paperino è il simbolo della nostra imperfezione. Quando tutto deve funzionare, lui non funziona quasi mai. Sbaglia, si arrabbia, inciampa, fallisce. Ma non si ferma. E questa è la sua forza. La capacità di non arrendersi, pur sapendo che non sarà mai il primo della classe.
C’è qualcosa di profondamente esistenziale in Paperino. Vive in un universo che non gli offre certezze, dove la malasorte sembra l’unica costante. Ogni giorno affronta prove assurde, lavori improbabili, richieste fuori scala, contrattempi a ciclo continuo. Eppure, continua a svegliarsi, a provarci. Come se, in fondo, sapesse che non è il risultato che conta, ma il gesto stesso del tentare.
A ben vedere, Paperino è il precursore inconsapevole di una filosofia dell’assurdo. Tutto gli va storto, vive in un ciclo continuo di fallimenti, ma non cede mai alla disperazione definitiva. C’è in lui una testardaggine che sembra una forma di ribellione silenziosa contro l’idea che solo i vincenti meritino spazio. Paperino ci mostra che si può essere degni anche nella sconfitta.
Ma attenzione a ridurlo a un semplice perdente. Paperino ha vissuto più avventure di chiunque altro. Spedizioni nei deserti, nei ghiacci, negli abissi marini, nello spazio e perfino in mondi paralleli. Ha fatto da spalla a Zio Paperone nella caccia al tesoro, si è ritrovato, spesso suo malgrado, in viaggi ai confini della realtà, accompagnato dai suoi inseparabili nipotini, Qui, Quo e Qua. Nonostante la sua leggendaria pigrizia, la vita lo costringe sempre a partire. E lui parte. Brontolando, sbuffando, inciampando. Ma parte.
Il motore segreto di molte sue peripezie è la sua cronica condizione economica. Paperino è l’eroe dei debitori. Inseguito da salumieri, macellai e soprattutto da zio Paperone, che non perde occasione per ricordargli ogni singolo centesimo dovuto, usandolo come arma di ricatto per farlo lucidare montagne di monete nel deposito.
Eppure, nonostante tutto, Paperino non è mai ridicolo. È uno che ci prova. Anche quando la giornata inizia con lui disteso su un’amaca, deciso a godersi una meritata pausa, sappiamo già che qualcosa andrà storto. È la sua condizione naturale. Cerca la quiete e ottiene il caos.
E non è solo questione di sfortuna, anche se la sfortuna è la sua compagna più fedele. Una banana per terra, un colpo di vento, un vicino molesto, un’occasione che sembra buona ma si rivela un disastro. Basta pochissimo per trasformare la sua giornata da ordinaria a catastrofica. Eppure, nonostante il mondo sembri congiurare contro di lui, Paperino tiene il punto.
È semplicemente uno che vive la quotidianità. Che si adatta, che si arrangia, che a volte sogna più di quanto possa permettersi. Non vuole cambiare il mondo, vuole solo trovare un posto dove sentirsi a casa. Ma anche questo, spesso, gli è negato. E allora si arrabbia, sbraita. Ma poi torna, sempre, alla sua normalità imperfetta.
Paperino è quello che sbaglia sempre il momento, il gesto, la parola. È testardo, permaloso, impulsivo, ma non si tira indietro. Anche se la vita gli tira pacchi continui, lui ci riprova. Con una testardaggine tutta sua.
Guardarlo oggi significa rispecchiarsi in una figura che non pretende di essere speciale. E proprio per questo lo è. Paperino ci insegna che va bene essere stanchi, va bene essere arrabbiati, va bene non avere tutto sotto controllo. Ci mostra la capacità di restare se stessi, anche quando tutto sembra andare storto.
In fondo, la vita secondo Paperino è un eterno tentativo di restare a galla, con il cuore pieno di speranze e le tasche sempre troppo vuote. Eppure, ogni giorno, riparte.