Nel 1923 veniva pubblicato il terzo e più noto romanzo dello scrittore e drammaturgo triestino Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz, La coscienza di Zeno, innovativo e complesso capolavoro, vergato in forma di introspezione psicologica imperniata sul rapporto tra individuo e realtà esteriore.
Protagonista del racconto tragicomico è l’antieroe Zeno Cosini, inetto patologico, afflitto da ipocondria e vizio del fumo, che in terapia psicoanalitica con il Dottor S. viene indotto, quale rimedio contro il suo disagio, a scrivere le proprie memorie con consapevolezza di sé, cioè con “coscienza” (memorie che per vendetta il Dottor S. finirà per pubblicare).
Zeno, che nel narrare non è sempre attendibile poiché rivisita gli avvenimenti a vantaggio della propria immagine, espone in forma di episodi non consequenziali sei cruciali vicende della propria vita contraddistinte non solo dal significato emotivo, ma anche dall’irrisolvibile tabagismo. Il tutto cosparso di ambiguità e impalpabile ironia.
Interpretato a più riprese come pièce teatrale e come commedia televisiva, La coscienza di Zeno nella versione diretta da Paolo Valerio e co-prodotta da Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia/Goldenart Production, con il grandioso Alessandro Haber nei panni del protagonista, è approdata lo scorso week end al Teatro Carcano di Milano, tappa di una lunga tournée.
E così, al grido di “dolcetto o scherzetto?”, ritornello che per antonomasia incarna Halloween, la sera del 31 ottobre mi sono recata al Carcano per assistervi.
Su un palcoscenico essenziale come quello scelto per questa produzione, dove la scenografia – oggetti scenici inclusi – risulta misurata e in cui gli interpreti vestono sobri costumi, è la presenza scenica degli attori che la fa da padrona. E questo rodato gruppo di attori, di talento in tal senso ne ha da vendere!
Nella sala gremita da rapiti spettatori, il cast ha messo in scena con grandissima umanità il carosello di pentimenti, buoni propositi e fallimenti che segnano come un tratto distintivo il dispiegarsi delle storie nella storia, sublimando la morale pessimistica impressa da Svevo, ovvero che l’esistenza umana è abitata da eterne contraddizioni. In tutto ciò uno straordinario Haber ha reso tangibili, veri e deflagranti i tormenti di un incostante e mutevole Zeno.
In un tempo che è sembrato breve, sebbene si sia protratto per due ore circa, si sono susseguiti gli episodi narrati nel romanzo, intervallati solo da suggestive musiche arricchite da piacevoli coreografie, a mo’ di sonoro sipario.
Emozionante il monologo finale, per l’intensità dispiegata da Haber nel recitare un assolo di cui già il testo di per sé è carico di tensione: lo spaventoso presagio di una devastazione della terra causata da ordigni bellici sempre più potenti.
(Virginia Nicoletti)