Riscoprire i vitigni autoctoni per riscoprire la storia, le tradizioni e anche la grande biodiversità vitivinicola italiana. Siamo il paese con il maggior numero di vitigni autoctoni al mondo, circa 600 specie contro le circa 200 della Francia. L’Italia, poi, è di gran lunga il Paese con la maggiore diversità vinicola.
Non lo dice solo il numero, superiore ad ogni altro Paese, di vini Dop e Igp (oltre 520 in totale) ma anche il fatto che il 75% della sua superficie vitata (690.000 ettari in totale, di cui 660.000 per l’uva da vino) è composto dagli 80 vitigni più coltivati. Una enormità, rispetto ai poco meno di 40 del Portogallo e ai poco più di 30 della Romania, che seguono il nostro paese in questa particolare classifica redatta dall’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino. Insomma, nessuno come noi.
Ritornando ai vitigni autoctoni, parliamo di varietà che spesso sono presenti solo ed esclusivamente in determinate regioni a dimostrazione che ogni territorio ha una propria specificità enologica che merita di essere raccontata e conosciuta. Andrea Pala è l’unico enologo sardo che segue direttamente il processo di produzione di vini realizzati da vitigni autoctoni di diverse regione: Sardegna, Marche, Campania, Calabria e Lazio. “Preservare, riscoprire e valorizzare i vitigni autoctoni di una regione – afferma l’enologo che nel 2021 è stato eletto il miglior giovane in Italia – significa preservare la storia e l’identità di un territorio e anche delle comunità che ci vivono”.
La Sardegna, da questo punto di vista, è uno scrigno ricco di gioielli enologici capaci di regalare vini emozionanti, spesso con produzioni limitate che ne arricchiscono il valore sul mercato e ne assicurano una riconoscibilità unica nei concorsi nazionali e internazionali. Cagnulari, Caricagiola, Muristellu, Moscato Bianco e Arvisonadu: sono questi i vitigni autoctoni sardi dai quali Andrea Pala cerca di trarre nel suo lavoro di consulente in cantina il massimo risultato, con vini che raccontano secoli di storia.
Tra questi, un posto speciale merita l’Arvisionadu, un rarissimo vitigno autoctoni la cui diffusione è limitata in un fazzoletto di terra di circa 20/25 ettari, nella regione storica del Goceano, tra i comuni di Benetutti e Bono. Un vero unicum perché è la stessa scienza a dire che per questo straordinario vitigno non è stata trovata nessuna corrispondenza genetica. Preservare questo vitigno a bacca bianca significa mantenersi fedeli a un codice genetico enologico della Sardegna, esattamente come si fa per i centenari della nostra isola. Le prime citazioni del vitigno risalgono già al 1780 ma la sua origine si perde nei millenni e il suo nome è sicuramente di origine latina. Anche per questo Pala ha deciso di puntare il più possibile su un processo di produzione che fosse il più naturale possibile, con una vendemmia fatta a mano e coltivazione biologica. Oggi l’Arvisionadu è uno dei vini sardi più ricercati a livello nazionale e internazionali, con gli esperti del settore che negli ultimi anni ne hanno decretato l’eccellenza.
L’isola, dunque, non teme il confronto con le altre regioni ma per un enologo come Pala, che fin da giovane è andato in giro per Italia e l’Europa alla scoperta di nuove produzioni, è di fondamentale importanza la conoscenza degli altri vitigni autoctoni, arricchendo quel portafoglio di competenze e professionalità che lo hanno reso il giovane enologo più richiesto in Italia. Dalla Malvasia Nera e il Greco Nero della Calabria fino al Falangina e Greco della Campania, passando per la Vernaccia Nera e Garofanata delle Marche fino ad arrivare al Bellone e Grechetto del Lazio. Sono soltanto alcuni dei vitigni autoctoni italiani ai quali Pala riconosce la patente di patrimonio enologico che non ha confronti con nessun altro paese al mondo.