(Federica Cannas) Di tutti i supereroi senza maschera, il più elegante è sempre stato lui. Non vola, non spara ragnatele, non ha una Batmobile, ma sa leggere l’anima degli uomini come fosse un caveau. E ci entra. Lupin è l’ombra che danza sulle regole, il colpo di genio che trasforma un furto in un’opera d’arte. E forse è per questo che gli vogliamo bene. Ci consola sapere che anche la legge può essere presa in giro con grazia.
Arsenio Lupin nasce nel 1905, sulle pagine della rivista Je sais tout, dalla penna di Maurice Leblanc, scrittore normanno. Era il tempo della Belle Époque, dei salotti pieni di fumo e di mistero, di un’Europa che si specchiava nel progresso e cominciava a dubitare delle proprie certezze. In quel clima, Lupin non poteva che essere un personaggio sovversivo. Un borghese travestito da fuorilegge, o forse un fuorilegge che ha la grazia e il senso estetico di un borghese illuminato.
Nobile nei modi e raffinato nei gusti, Lupin è un ladro, sì, ma con un suo codice etico. Ruba ai ricchi, sfida l’autorità, si prende gioco dei potenti e spesso si diverte a umiliare gli stupidi. È ironico, colto, brillante. Un trasformista capace di cambiare identità come si cambia abito. La sua arma non è la pistola, ma l’intelligenza. E il suo fascino nasce proprio da qui. Non lo ammiriamo nonostante sia un ladro, lo ammiriamo perché è un ladro. Migliore di tanti uomini “onesti”.
Lupin ha avuto, fin da subito, un avversario d’eccezione, Sherlock Holmes. Il confronto è emblematico. Da un lato la logica, il metodo, l’ossessione per l’ordine; dall’altro, la furbizia, l’inventiva, il piacere del disordine. Se Holmes è il razionalista, Lupin è l’irregolare. E in quella Francia che guardava Londra con un misto di ammirazione e fastidio, Arsenio divenne presto un eroe popolare, quasi un risarcimento culturale.
Lupin è il primo, vero uomo dai mille volti della letteratura moderna. Cambia nome, faccia, voce. Perennemente mascherato, eppure mai così sincero. Perché è nel travestimento che rivela la propria verità. In fondo, Arsenio non ha un’identità fissa perché la rifiuta. Non vuole essere ciò che la società impone. Per questo è un personaggio così attuale. Lupin è il campione della libertà individuale, l’eroe dell’ambiguità, del possibile.
Non è solo un ladro, Lupin. È anche un critico, silenzioso e tagliente, della giustizia ufficiale. Spesso colpisce chi ha rubato legalmente, chi ha fatto fortuna con il sopruso travestito da regola. I suoi furti non sono atti criminali, ma gesti poetici. Non a caso, molte sue imprese sembrano più delle performance teatrali che dei colpi veri e propri. In lui c’è qualcosa di anarchico, ma con stile. Non vuole sovvertire il mondo. Vuole solo dimostrare che si può giocare fuori dalle regole senza diventare mostri.
Lupin non è mai invecchiato e non smette di affascinarci. Forse perché rappresenta un desiderio che non muore. Quello di poter essere se stessi, o chiunque si voglia, senza dover chiedere il permesso. È la fantasia del riscatto. È l’illusione, magari ingenua, che ci sia sempre un modo elegante per scappare. E che dietro ogni legge, si nasconda una storia che merita di essere raccontata.
Leblanc gli diede un passato misterioso. Noi gli abbiamo dato la nostra simpatia più sincera. In fondo, chi non ha mai desiderato, almeno una volta, di essere invisibile, irresistibile, imprendibile?
Lupin non è il contrario della legge. È il suo interrogativo. Il punto di domanda finale dopo ogni sentenza. L’ultima risata, quando cala il sipario.












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