Un carcere non è un luogo per bambini. Eppure, ogni anno, migliaia di minori in Italia varcano i cancelli degli istituti penitenziari per incontrare un genitore detenuto. È in questo fragile spazio emotivo che l’arte può diventare cura, relazione, rifugio. A Uta, nella più grande casa circondariale della Sardegna, lo street artist mascherato Manu Invisible ha deciso di lasciare il suo segno – questa volta non solo sulle pareti, ma anche nei cuori di chi aspetta.
Dal 2 al 4 luglio, l’artista è impegnato nella decorazione della sala d’attesa destinata ai familiari dei detenuti. Non un semplice intervento estetico, ma un vero gesto di umanità creativa: disegni, colori e forme pensati per rendere lo spazio più sereno e adatto all’incontro tra genitori e figli. Il progetto si inserisce nell’ambito di “Liberi dentro per crescere fuori”, promosso dal consorzio di cooperative sociali con capofila Elan, selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, istituito dall’ACRI in accordo con il Governo italiano.
A fianco del murale, anche un laboratorio artistico partecipato, che coinvolge direttamente i bambini figli dei detenuti. Un modo per trasformare l’attesa in esperienza creativa, e per restituire a quei piccoli visitatori un senso di agency, di protagonismo positivo, dentro un contesto che spesso genera paura e spaesamento.
Secondo i dati dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, sono oltre 100.000 i minori in Italia che vivono l’esperienza di avere almeno un genitore detenuto. Una condizione che, se non adeguatamente sostenuta, può generare isolamento sociale, disagio scolastico e traumi affettivi.
Da anni Manu Invisible, artista noto per i suoi murales iconici e il volto celato da una maschera nera, lavora sulla marginalità sociale attraverso l’arte pubblica. Le sue opere, disseminate in tutta Italia e all’estero, parlano di diritto, ecologia, bellezza, partecipazione. E in questo nuovo intervento si conferma il suo impegno civile: “Non esiste contesto che l’arte non possa attraversare. Rendere più umano un luogo come una sala d’attesa del carcere significa creare connessioni nuove, dare valore alle relazioni, anche nelle condizioni più difficili”, ha dichiarato in un’intervista rilasciata a Sky Arte.
Il progetto coinvolge una fitta rete di attori: oltre a Elan, le cooperative Exmè & Affini, Panta Rei Sardegna, Solidarietà Consorzio, Casa delle Stelle, insieme alla Casa circondariale Ettore Scalas, l’Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna per la Sardegna (UIEPE), il Comune di Cagliari, l’associazione Prohairesis e Aragorn srl.
L’intervento è parte di una più ampia riflessione nazionale su come umanizzare l’esperienza del carcere per i bambini, e su come riconoscere il diritto alla genitorialità anche nelle condizioni di detenzione, così come previsto dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. “Un bambino ha diritto a una relazione significativa con i propri genitori – spiega l’associazione Bambinisenzasbarre – ma ha anche diritto a non essere traumatizzato da questa relazione. Serve una svolta culturale e sistemica”.
A Uta, quella svolta passa per un pennello, un colore, un volto nascosto e un messaggio visibile: la bellezza è un diritto, anche dietro le sbarre.