(Federica Cannas) – Rodolfo Walsh è stato un giornalista argentino, un militante. Ma, prima ancora, un uomo che ha scelto di disarmare il potere con le parole, l’unico strumento che possedeva. Parole lucide, coraggiose, pericolose. Parole che la dittatura argentina non avrebbe mai potuto tollerare.
Nato nel 1927 in Patagonia, Rodolfo Walsh fu scrittore di racconti polizieschi, intellettuale dallo sguardo acuto, ma soprattutto autore di una forma di giornalismo d’inchiesta che in America Latina non esisteva ancora. Con Operación Masacre, pubblicato per la prima volta nel 1957, inaugurò in Argentina il giornalismo investigativo, con un gesto dirompente. Raccontó un’esecuzione illegale da parte dello Stato, con nomi, volti, luoghi e prove, quando ancora il paese era sotto il peso del terrore.
Il libro ricostruisce i fatti avvenuti il 9 giugno 1956 nella località di José León Suárez, sobborgo di Buenos Aires, dove dodici uomini furono arrestati e fucilati senza processo, accusati di aver partecipato a una rivolta peronista contro il regime militare guidato dal generale Pedro Eugenio Aramburu. Sei di loro sopravvissero, e le loro testimonianze, raccolte da Walsh con rigore e coraggio, furono la base di un’indagine meticolosa. Confrontando interviste, documenti, registrazioni radio e fonti ufficiali, Walsh dimostrò che l’ordine di esecuzione era stato impartito prima della proclamazione dello stato d’assedio, rendendo quei fatti un vero e proprio crimine di Stato. Con quel libro, non solo denunciò l’illegalità delle esecuzioni, ma aprì una nuova via alla letteratura e al giornalismo d’inchiesta.
Ma la storia di Rodolfo Walsh è anche una storia di intelligenza, di lotta internazionale, di controspionaggio. Perché questo uomo minuto, che portava occhiali spessi, fu anche l’autore di uno dei gesti più importanti nella storia segreta del continente: la decodifica di un telex della CIA che annunciava l’imminente invasione della Baia dei Porci a Cuba.
Era il 1960. Walsh si trovava all’Avana, invitato da Jorge Ricardo Masetti, giornalista argentino ed ex corrispondente della guerriglia castrista nella Sierra Maestra, per contribuire alla fondazione di un’agenzia di stampa latinoamericana libera dall’influenza nordamericana, Prensa Latina. L’obiettivo era costruire un’informazione autonoma, capace di raccontare il continente dal punto di vista dei suoi popoli.
Gabriel García Márquez era lì con lui. Prensa Latina fu per entrambi una palestra di giornalismo e resistenza. Ma fu anche, per Walsh, il luogo in cui avrebbe realizzato un gesto fondamentale. Intercettó e decidificó un messaggio cifrato che anticipava le mosse della CIA per organizzare lo sbarco armato nella Baia dei Porci. La versione decodificata fu consegnata direttamente a Fidel Castro, che da quel momento intensificò i preparativi difensivi. L’invasione, come è noto, fallì nel 1961. Senza clamori, senza visibilità, Rodolfo Walsh aveva contribuito a sventare uno degli attacchi più gravi alla sovranità cubana.
Tornato in Argentina, il suo impegno prese vie sempre più militanti. Non era un uomo ingenuo, sapeva che la parola da sola non bastava. Entrò in contatto con i settori della sinistra peronista, poi con Montoneros, il gruppo armato che lottava contro la dittatura e l’oligarchia. Anche lì, con lucidità, non esitò a criticare derive autoritarie ed errori strategici.
La sua ultima grande azione fu anche la sua condanna a morte. Il 24 marzo 1977, a un anno esatto dal colpo di Stato militare che instaurò la dittatura di Jorge Rafael Videla, scrisse la sua Lettera aperta alla Giunta Militare. Una denuncia durissima, inappellabile, in cui rivelava gli omicidi, le torture, le sparizioni, la sistematica violazione dei diritti umani da parte del regime. Denunciava con nomi e fatti, senza delegare ad altri il compito di dire la verità.
Quella lettera non fu pubblicata da nessun giornale argentino. Eppure circolò, clandestinamente, diventando uno dei più alti atti di coraggio civile del Novecento. Il giorno dopo, Rodolfo Walsh venne assassinato in pieno centro a Buenos Aires da un gruppo operativo della Marina. Il suo corpo non fu mai restituito.
La memoria di Rodolfo Walsh serve a ricordarci che ci sono stati giornalisti capaci di cambiare il corso della storia con la forza della verità. Giornalisti che sceglievano da che parte stare, anche a costo della vita. Figure come la sua, oggi quasi scomparse, dimostrano quanto possa essere decisiva la voce di chi ha il coraggio di sfidare il potere con la parola e con i fatti. Parlare di Walsh non è soltanto un atto di memoria. È un gesto necessario. Perché la memoria, da sola, non basta. Non ha senso se non si traduce in azione, se non ci insegna a riconoscere gli errori del passato, a combattere ciò che continua a negare giustizia e democrazia. Ecco perché parlarne oggi è importante.












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