(Federica Cannas) – In America il West l’hanno raccontato così tante volte da crederci davvero. Il cowboy buono, l’indiano cattivo, progresso in marcia e whisky a fiumi.
Noi, invece, il West lo abbiamo ridisegnato con un ranger italiano che sparava solo quando serviva, ma difendeva chi nessuno difendeva: Tex Willer, l’uomo bianco che stava con i pellerossa.
Tex difende i nativi americani, vive con loro, li rispetta, diventa uno di loro. E questo succede non oggi, in tempi di revisioni postcoloniali e riflessioni tardive, ma nel 1948. Sì, mentre in America John Wayne sparava ai Sioux, noi pubblicavamo la prima avventura di un ranger bianco che combatteva gli yankee corrotti per difendere i Navajo.
Tex sceglie i Navajo anche nell’amore. Sposa Lilyth, una giovane nativa, e dal loro legame nasce Kit Willer. Ma Lilyth muore poco dopo, colpita da un’epidemia portata dai bianchi. Da allora, Tex non amerà più nessuna. Resterà fedele alla sua memoria e alla sua gente.
Tex Willer è una figura che ribalta l’immaginario. In un’epoca in cui Hollywood celebrava il mito della conquista, Gianluigi Bonelli e Aurelio Galleppini decidevano di raccontare un’altra frontiera. Quella della giustizia vera, quella degli ultimi, quella degli sconfitti.
Tex è un ranger, certo, ma non serve gli interessi del governo federale. È un giustiziere con un senso etico tutto suo, che si scontra con l’arroganza dei generali, dei politici corrotti, dei predicatori moralisti e dei mercanti senza scrupoli. È un bianco che ha scelto, consapevolmente, di stare dall’altra parte, quella dei nativi, che in America venivano rinchiusi nelle riserve e nei cliché.
“Tex è un uomo che non sopporta le ingiustizie. Può anche essere violento, ma ha un’etica inflessibile. Non combatte per il potere, combatte per difendere chi non ha voce”. Una dichiarazione semplice, quella di Gianluigi Bonelli su Tex, ma inequivocabile. Tex non è il solito cowboy, lui nutre profondo rispetto dove altri vedono solo conquista.
Ma i pellerossa erano ben più di un ostacolo sulla strada del progresso. Erano una civiltà favolosa e complessa, con una visione del mondo armonica, una spiritualità profonda, una struttura sociale raffinata, forme di democrazia tribale e una conoscenza dell’ambiente che oggi chiameremmo ecologica. I Navajo, gli Apache, i Sioux, i Cheyenne avevano una lingua, un sistema di valori, una memoria collettiva tramandata con cura. Custodi della terra, non padroni. Guerrieri, ma anche poeti, artigiani, sciamani, strateghi.
In quella civiltà cancellata a colpi di fucile e trattati traditi, Bonelli e Galleppini videro ciò che l’Occidente si ostinava a ignorare, ossia la loro grandezza. E la raccontarono con rispetto. È anche per questo che Tex Willer è diventato Aquila della Notte. Perché i nativi americani rappresentavano, e rappresentano, un’altra idea di mondo, semplicemente diversa. E forse, più saggia.
Nel cuore del fumetto italiano c’è l’idea potente che la cultura dominante si può sfidare. Mentre il western americano divideva il mondo tra civiltà e barbarie, Tex diventa Aquila della Notte, capo dei Navajos, guida spirituale e militare.
E se oggi ci sorprendiamo nel vedere la storia riscritta, come se fosse una scoperta recente che i nativi americani erano esseri umani, noi possiamo rispondere con un sorriso, che sì, l’avevamo capito da un pezzo.
Tex Willer è un’eccezione felice. Un personaggio popolare che incarna un’idea di giustizia non allineata, non compiacente. Un eroe che ci ricorda come, ogni tanto, l’Italia sa pensare con la propria testa. Anche quando si tratta di raccontare il West.
Ma c’è di più. Tex non è solo un fenomeno italiano. Il personaggio è stato tradotto e pubblicato in molti Paesi, e in Sudamerica, dal Brasile all’Argentina, dal Cile al Messico, è diventato un’icona popolare, amatissima anche per la sua posizione chiara e coerente a favore dei popoli indigeni. In Brasile, Tex è pubblicato dal 1951 e vanta milioni di copie vendute. Una rivincita culturale meravigliosa. Gli stessi Paesi segnati dal colonialismo adorano un eroe europeo che sta dalla parte degli oppressi.
E allora sì, noi tifiamo per Tex. Aquila della Notte. Ranger dei giusti. Un fumetto? Sì. Ma con più coraggio storico e più etica civile di mille epopee hollywoodiane, costruite per legittimare una conquista e compiacere il potere.
Perché quelle saghe non raccontano solo il West. Raccontano soprattutto l’America come vuole vedersi, forte e vincente, anche a costo di cancellare popoli interi.
Noi, invece, anche con un fumetto, abbiamo saputo riconoscere nei nativi americani una civiltà esemplare, fondata sul rispetto per la terra, sull’ascolto del tempo, sulla sacralità del legame tra gli esseri viventi.
Una civiltà che non misurava la forza con l’armonia. Che conosceva il silenzio, la gratitudine, la memoria. Che custodiva la natura e sapeva che l’anima di un popolo vale più di ogni cosa.
Nel volto dei pellerossa, nel passo dei Navajos, nel canto degli Apache, c’era un’umanità profonda.
Una storia viva, da ascoltare con rispetto.
Una memoria da difendere, perché in quel mondo cancellato a colpi di fucile c’erano saggezza, bellezza e dignità.












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