(Virginia Nicoletti) – Nel cuore dell’Inghilterra, là dove il fiume Avon si srotola tra salici e antiche facciate a graticcio affacciate su strade di epoca Tudor, c’è una città magica in cui il mito di un poeta continua a generare, trasformare, sconvolgere e confortare: Stratford-upon-Avon.
Centro che si muove in bilico tra nostalgia e rivoluzione, realtà e leggenda, Stratford è la città natale di William Shakespeare – il ragazzo di provincia capace di cambiare per sempre il volto del teatro e della letteratura, la cui voce immortale risuona ancora oggi, quattro secoli dopo la morte – ed è un laboratorio teatrale di portata mondiale.
Qui il passato non dorme nei musei, ma trasuda dalle pietre: dall’umile Henley Street, dov’è nata la leggenda, alla chiesa di Holy Trinity, dove il Bardo fu battezzato e dove ora giace, la memoria di Shakespeare è un intrico palpabile di vita e morte, di inquietudine e consolazione.
Qui, le stagioni teatrali e le sue celebrazioni, sono sin dai tempi di David Garrick – attore e impresario del Settecento – un appuntamento sacrale per la cultura mondiale.
Per Stratford, però, il vero prodigio comincia nel Novecento, con la Gran Bretagna che sente l’urgenza di rinascere dopo i conflitti del secolo. Quando la città corre il rischio di diventare nient’altro che una reliquia, luogo di pellegrinaggi e malinconie scolastiche, la Royal Shakespeare Company spalanca porte un tempo chiuse dal silenzio e dalla consuetudine, restituendole la sua voce più vibrante. Vera e propria leggenda vivente nel mondo delle arti drammatiche anglosassoni, capace di incantare con la sua padronanza interpretativa e la cura delle sue messinscene, la RSC è diventata la fucina in cui il retaggio shakespeariano – e non solo – si confronta successo dopo successo con il tempo che passa.
Ogni stagione la compagnia riscrive, discute (e persino sfida!) l’eredità teatrale del Bardo; rimonta le sue scene, mescola attori affermati e giovani talenti, e ribalta i classici per cercare nel verso antico le ansie e le domande di oggi. Con produzioni che viaggiano in tutto il mondo e che spaziano dal repertorio shakespeariano puro ad opere contemporanee, a spettacoli musicali o per famiglie, ogni replica della Royal Shakespeare Company è una festa e una sfida, una celebrazione di ciò che fu e l’avvio di ciò che sarà.
Si narra che grazie alla RSC non si assiste soltanto ad uno spettacolo: lo si attraversa, lo si vive, si diventa complici del brivido e dell’audacia che ogni nuova produzione porta in scena.
È una esperienza che ho avuto il privilegio di sperimentare personalmente, quando questa estate, durante un soggiorno nelle Midlands inglesi che mi ha condotto a Stratford, ho preso parte alla rappresentazione dell’enigmatico dramma romanzesco “The Winter’s Tale” (“Il Racconto D’inverno”), una delle ultime opere di Shakespeare, amata da registi e pubblico proprio per la sua capacità di trascendere i generi. La narrazione, che si snoda tra la cupezza della gelosia e la magia della redenzione, attraversando il gelo del tradimento e la fioritura della riconciliazione, non è soltanto una parabola elisabettiana, ma una favola che trasforma il dolore in speranza, il peccato in perdono, la morte in rinascita. “The Winter’s Tale” è un racconto che esplora la metamorfosi interiore: la gelosia, la colpa, il tempo e la grazia, invitando a non disperare nel freddo dell’inverno, ma a credere che la primavera possa sempre tornare.
La rappresentazione a cui ho assistito, contraddistinta da grande freschezza e dalla potenza innovativa della riscrittura proposta dalla compagnia, mi ha sorpreso per la portata di quello che è acclamato come uno dei punti di forza della RSC, ovvero la straordinaria capacità di coesione dell’ensemble: ogni attore, anche nei ruoli minori, è risultato inserito in una coralità perfetta che richiama le antiche compagnie itineranti, ma con la raffinatezza tecnica dell’epoca contemporanea. A rendere indimenticabile il tutto ha contribuito anche l’architettura del santuario moderno del Royal Shakespeare Theatre, con il suo palcoscenico a thrust e la platea avvolgente che consente di vivere un’esperienza immersiva, nonché la scenografia originale e la trascinante musica eseguita dal vivo.
Il tempo trascorso al Royal Shakespeare Theatre non è stato semplice intrattenimento, ma una promessa mantenuta: ne sono uscita diversa, arricchita, con negli occhi la meraviglia e nel cuore la certezza che vedere Shakespeare lì, dove tutto ha avuto inizio, è valso il viaggio.