(Federica Cannas) – Ottobre 1987. In Cile si gioca il Mondiale Under-20. Gli stadi sono pieni di ragazzi, bandiere, cori. La Jugoslavia vince il titolo con una generazione di fenomeni che avrebbe incantato il mondo. Ma fuori dal campo, la realtà è un’altra. Il Cile è ancora piegato dalla dittatura di Augusto Pinochet.
Il regime, che da quattordici anni governa con pugno di ferro, vede nel torneo una vetrina. Le telecamere della FIFA inquadrano i sorrisi sugli spalti e la passione per il calcio, ma non possono mostrare le voci soffocate, le proteste represse, le famiglie spezzate dall’esilio e dalle sparizioni. È la strategia classica del potere autoritario: usare lo sport come maquillage, un sipario dietro cui nascondere la violenza quotidiana.
Eppure, anche in quel contesto, per tanti cileni il calcio restò un rifugio. I giovani tifosi si aggrapparono a quelle partite per respirare un po’ di normalità, per immaginare un domani diverso. Mancava poco al plebiscito del 1988, che avrebbe segnato l’inizio del declino di Pinochet. In un certo senso, il Mondiale giovanile fu un preludio, un momento sospeso tra il buio e la possibilità di cambiamento.
Il 2025 riporta lo stesso torneo in Cile, ma il paese non è più lo stesso. Non più il silenzio imposto dai generali, ma la voce fragile e libera di una democrazia che cerca nuove strade. Non più stadi usati come simbolo di propaganda, ma spazi sportivi aperti all’entusiasmo popolare.
Ospitare di nuovo il Mondiale Under-20 significa raccontare al mondo la trasformazione di una nazione. Il logo del torneo celebra le Ande, il Pacifico, i fiori tipici cileni. Segni di identità che nel 1987 sarebbero stati offuscati dalla retorica militare. Oggi, invece, diventano parte di una narrazione positiva, capace di esaltare la diversità e la creatività del paese.
Lo sport, lo sappiamo, non è mai neutrale. Nel 1987 fu usato come strumento di legittimazione di un potere autoritario. Nel 2025 può diventare invece un terreno di riscatto, un’occasione per ridare centralità alle nuove generazioni.
Il calcio giovanile cileno ha già scritto pagine importanti, come il terzo posto al Mondiale Under-20 del 2007. Ma oggi il valore simbolico va oltre i risultati. È la possibilità di mostrare che il futuro appartiene a una generazione cresciuta senza la paura della censura e delle sparizioni, libera di immaginare, di creare, di lottare anche attraverso il pallone.
Confrontare i due tornei significa guardarsi allo specchio. Nel 1987 il Cile era una nazione chiusa, che cercava di apparire normale mentre nascondeva le sue ferite più profonde. Nel 2025 il Cile si presenta con le sue contraddizioni ancora aperte – diseguaglianze, tensioni sociali, fragilità politiche – ma con la forza di chi ha scelto la via democratica.
Il Mondiale Under-20 diventa così una metafora. Allora rappresentava un presente soffocato, oggi può rappresentare un futuro aperto. È il passaggio da un calcio usato come strumento di controllo a un calcio vissuto come energia vitale, come festa popolare.
Due Mondiali, due epoche, due volti del Cile. Nel 1987 la dittatura usò lo sport per mascherare la repressione. Nel 2025 la democrazia può usare lo sport per celebrare i giovani e il loro diritto a sognare. È questa la differenza che conta. Lo stesso torneo che un tempo serviva al potere, oggi appartiene alla gente.
Il pallone, in fondo, non dimentica. E il Cile, con la sua storia segnata da ferite e rinascite, può finalmente vivere un Mondiale giovanile come ciò che deve essere: una promessa di futuro.
Il regime, che da quattordici anni governa con pugno di ferro, vede nel torneo una vetrina. Le telecamere della FIFA inquadrano i sorrisi sugli spalti e la passione per il calcio, ma non possono mostrare le voci soffocate, le proteste represse, le famiglie spezzate dall’esilio e dalle sparizioni. È la strategia classica del potere autoritario: usare lo sport come maquillage, un sipario dietro cui nascondere la violenza quotidiana.
Eppure, anche in quel contesto, per tanti cileni il calcio restò un rifugio. I giovani tifosi si aggrapparono a quelle partite per respirare un po’ di normalità, per immaginare un domani diverso. Mancava poco al plebiscito del 1988, che avrebbe segnato l’inizio del declino di Pinochet. In un certo senso, il Mondiale giovanile fu un preludio, un momento sospeso tra il buio e la possibilità di cambiamento.
Il 2025 riporta lo stesso torneo in Cile, ma il paese non è più lo stesso. Non più il silenzio imposto dai generali, ma la voce fragile e libera di una democrazia che cerca nuove strade. Non più stadi usati come simbolo di propaganda, ma spazi sportivi aperti all’entusiasmo popolare.
Ospitare di nuovo il Mondiale Under-20 significa raccontare al mondo la trasformazione di una nazione. Il logo del torneo celebra le Ande, il Pacifico, i fiori tipici cileni. Segni di identità che nel 1987 sarebbero stati offuscati dalla retorica militare. Oggi, invece, diventano parte di una narrazione positiva, capace di esaltare la diversità e la creatività del paese.
Lo sport, lo sappiamo, non è mai neutrale. Nel 1987 fu usato come strumento di legittimazione di un potere autoritario. Nel 2025 può diventare invece un terreno di riscatto, un’occasione per ridare centralità alle nuove generazioni.
Il calcio giovanile cileno ha già scritto pagine importanti, come il terzo posto al Mondiale Under-20 del 2007. Ma oggi il valore simbolico va oltre i risultati. È la possibilità di mostrare che il futuro appartiene a una generazione cresciuta senza la paura della censura e delle sparizioni, libera di immaginare, di creare, di lottare anche attraverso il pallone.
Confrontare i due tornei significa guardarsi allo specchio. Nel 1987 il Cile era una nazione chiusa, che cercava di apparire normale mentre nascondeva le sue ferite più profonde. Nel 2025 il Cile si presenta con le sue contraddizioni ancora aperte – diseguaglianze, tensioni sociali, fragilità politiche – ma con la forza di chi ha scelto la via democratica.
Il Mondiale Under-20 diventa così una metafora. Allora rappresentava un presente soffocato, oggi può rappresentare un futuro aperto. È il passaggio da un calcio usato come strumento di controllo a un calcio vissuto come energia vitale, come festa popolare.
Due Mondiali, due epoche, due volti del Cile. Nel 1987 la dittatura usò lo sport per mascherare la repressione. Nel 2025 la democrazia può usare lo sport per celebrare i giovani e il loro diritto a sognare. È questa la differenza che conta. Lo stesso torneo che un tempo serviva al potere, oggi appartiene alla gente.
Il pallone, in fondo, non dimentica. E il Cile, con la sua storia segnata da ferite e rinascite, può finalmente vivere un Mondiale giovanile come ciò che deve essere: una promessa di futuro.