(Federica Cannas) – Violeta Parra è stata una grande cantautrice. Ma è stata anche il volto di un paese intero, un fiume di dolore e bellezza che ha attraversato il Cile e lo ha consegnato al mondo. Nella sua voce c’erano le ferite e le speranze di un popolo, la forza silenziosa delle donne e la musica nascosta nella vita quotidiana.
“Gracias a la vida” è il suo lascito universale, ma anche il più enigmatico. Una canzone che sembra un inno di gratitudine, e che pure porta dentro un abisso. È come se Violeta avesse voluto fare pace con la vita, mentre già la stava lasciando andare. Ogni strofa è un dono. Gli occhi per vedere, per distinguere tra la gente l’uomo che ama, le parole per dire “madre, amico, fratello”, i piedi per camminare per le strade. È una dichiarazione d’amore all’esistenza, scritta da una donna che conosceva la ferita più profonda. Ed è proprio lì che si accende la potenza della sua opera. Violeta ringrazia non perché la vita le abbia risparmiato il dolore, ma perché le ha donato tutto. Gioia, fatica, cadute e rinascite. In ognuna di queste esperienze ha trovato un senso, e perfino la sofferenza è diventata qualcosa da trasformare in arte.
C’è un paradosso che rende questa canzone immortale. L’inno alla vita è scritto da una donna che poco dopo sceglierà di togliersela. Ma forse è proprio questo a renderla universale. “Gracias a la vida” è un testamento. È la consapevolezza che l’esistenza, pur nelle sue ingiustizie, resta un dono. E che l’arte ha il compito di custodire la contraddizione, non di risolverla.
Violeta Parra non fu accomodante e non accettò mai di piegare la propria voce a un ruolo rassicurante. Preferì essere protesta, malinconia, poesia. Ha raccolto le melodie popolari del Cile contadino e le ha riportate alla luce, come fossero semi antichi da piantare in un tempo nuovo. Ha dato voce a chi voce non aveva, alle donne silenziose, ai lavoratori dimenticati, ai bambini cresciuti tra polvere e sogni fragili. Restituendo dignità a chi era stato escluso dal racconto ufficiale.
Eppure, nonostante il dolore che attraversa la sua biografia, quando si ascolta “Gracias a la vida” non si sente disperazione. Si sente una lucidità rara, una specie di sguardo limpido che abbraccia tutto. Il bene e il male, il sorriso e la ferita. È come se Violeta ci consegnasse un compito. Essere grati, anche quando sembra impossibile.
Forse è per questo che continuiamo a sentire la sua voce anche oggi, in un tempo che sembra aver dimenticato il valore delle piccole cose. Violeta ci ricorda che la vita va vissuta. E che una donna con una chitarra può cambiare il destino di un intero continente.
Gracias a la vida, Violeta. Anche noi ti ringraziamo.
“Gracias a la vida” è il suo lascito universale, ma anche il più enigmatico. Una canzone che sembra un inno di gratitudine, e che pure porta dentro un abisso. È come se Violeta avesse voluto fare pace con la vita, mentre già la stava lasciando andare. Ogni strofa è un dono. Gli occhi per vedere, per distinguere tra la gente l’uomo che ama, le parole per dire “madre, amico, fratello”, i piedi per camminare per le strade. È una dichiarazione d’amore all’esistenza, scritta da una donna che conosceva la ferita più profonda. Ed è proprio lì che si accende la potenza della sua opera. Violeta ringrazia non perché la vita le abbia risparmiato il dolore, ma perché le ha donato tutto. Gioia, fatica, cadute e rinascite. In ognuna di queste esperienze ha trovato un senso, e perfino la sofferenza è diventata qualcosa da trasformare in arte.
C’è un paradosso che rende questa canzone immortale. L’inno alla vita è scritto da una donna che poco dopo sceglierà di togliersela. Ma forse è proprio questo a renderla universale. “Gracias a la vida” è un testamento. È la consapevolezza che l’esistenza, pur nelle sue ingiustizie, resta un dono. E che l’arte ha il compito di custodire la contraddizione, non di risolverla.
Violeta Parra non fu accomodante e non accettò mai di piegare la propria voce a un ruolo rassicurante. Preferì essere protesta, malinconia, poesia. Ha raccolto le melodie popolari del Cile contadino e le ha riportate alla luce, come fossero semi antichi da piantare in un tempo nuovo. Ha dato voce a chi voce non aveva, alle donne silenziose, ai lavoratori dimenticati, ai bambini cresciuti tra polvere e sogni fragili. Restituendo dignità a chi era stato escluso dal racconto ufficiale.
Eppure, nonostante il dolore che attraversa la sua biografia, quando si ascolta “Gracias a la vida” non si sente disperazione. Si sente una lucidità rara, una specie di sguardo limpido che abbraccia tutto. Il bene e il male, il sorriso e la ferita. È come se Violeta ci consegnasse un compito. Essere grati, anche quando sembra impossibile.
Forse è per questo che continuiamo a sentire la sua voce anche oggi, in un tempo che sembra aver dimenticato il valore delle piccole cose. Violeta ci ricorda che la vita va vissuta. E che una donna con una chitarra può cambiare il destino di un intero continente.
Gracias a la vida, Violeta. Anche noi ti ringraziamo.