Eppure, questo divieto – pur giustificato nelle sue intenzioni – rischia di somigliare a un atto di proibizionismo vecchio stile. Come nella celebre stagione americana del “Prohibition Act” tra gli anni ’20 e ’30 del Novecento, quando il governo degli Stati Uniti decise di vietare la produzione e il consumo di alcol, con l’effetto di alimentare il mercato nero e la criminalità organizzata, anche oggi si rischia di trasformare un problema educativo in un tabù. Vietare l’uso dello smartphone non significa educare al suo corretto utilizzo.
La vera domanda che dovremmo porci è un’altra: quando inizieremo a insegnare nelle scuole l’uso consapevole dei social e dell’intelligenza artificiale?
Viviamo in un mondo in cui la comunicazione digitale è parte integrante della vita quotidiana, del lavoro e della formazione. Eppure, le nostre scuole restano ancorate a un modello educativo che ignora questa dimensione. L’uso etico dei social media e dell’intelligenza artificiale deve diventare una materia di insegnamento, tanto quanto la matematica o la storia.
Non basta dire “non usate il telefono”. Occorre insegnare come usarlo, quando usarlo, e soprattutto perché.
L’abuso nasce spesso dall’ignoranza, dalla mancanza di strumenti critici. E oggi vediamo le conseguenze: video di insulti, contenuti truffaldini, fake news costruite con sistemi di intelligenza artificiale, manipolazioni di immagini e audio che alimentano odio e disinformazione. Tutto ciò dimostra che il problema non è la tecnologia in sé, ma la mancanza di una cultura del suo utilizzo.
In diversi Paesi del mondo si sta già andando in questa direzione. In Finlandia, ad esempio, l’educazione digitale è inserita nei programmi scolastici fin dalla scuola primaria: i ragazzi imparano a riconoscere le fake news e a comprendere come funzionano gli algoritmi dei social. In Estonia, patria di una delle più avanzate digitalizzazioni pubbliche, esistono corsi di “AI literacy” nelle scuole secondarie, dove gli studenti studiano come i sistemi di intelligenza artificiale apprendono e come possono essere utilizzati in modo responsabile. In Giappone, alcune scuole superiori hanno introdotto programmi di etica digitale che includono l’analisi dei rischi legati alla manipolazione dei contenuti online.
L’Italia, invece, continua a reagire più che a programmare: proibisce anziché educare, vieta invece di insegnare.
Eppure la scuola dovrebbe essere il luogo dove si impara a convivere con il proprio tempo. Dove si impara a usare lo smartphone non come un nemico del sapere, ma come uno strumento di conoscenza, di ricerca e di crescita.
Vietare può servire nell’immediato a ristabilire l’ordine in classe. Ma, nel lungo periodo, solo insegnare potrà formare cittadini consapevoli, capaci di navigare nel mondo digitale con senso critico e responsabilità.
La sfida educativa del XXI secolo non è quella di togliere il telefono dalle mani dei ragazzi, ma di mettere nelle loro mani gli strumenti per usarlo bene.












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