Al PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano è visibile fino all’8 giugno “Body of Evidence” dell’artista Shirin Neshat, una mostra da non perdere, appello a non restare neutrali di fronte alle ingiustizie.
Nata in Iran nel 1957 e Newyorkese d’adozione, Neshat è una delle artiste contemporanee più influenti a livello internazionale, apprezzata per la sua capacità di sondare, con un linguaggio visivo potente e stratificato e grazie alla commistione di diversi media (uno dei suoi tratti distintivi), temi quali l’identità, il genere e il complicato rapporto tra Oriente e Occidente. Le sue creazioni, che spaziano dalla fotografia al video, dal cinema all’installazione, sono il frutto di un eclettismo che le consente di costruire narrazioni in cui ogni elemento contribuisce a rendere possibile una lettura polisemica delle opere. L’assenza di colore dovuta alla scelta stilistica del bianco e nero, rende le immagini senza tempo e universali, ne accentua il dramma e la tensione emotiva, e porta alla luce la visceralità e la dimensione politica che le permea. I suoi lavori, di una profondità inaudita, sono costruiti su contrasti visivi e narrativi che si originano proprio a partire dalla sua dualità culturale e che, nel loro svolgersi, ci invitano e ci accompagnano all’incontro con la complessità delle esperienze umane, dove gli opposti coesistono e si aggrovigliano vicendevolmente. L’abilità di unire estetica e impegno politico, poesia e denuncia, la rende una figura di riferimento non solo per la diaspora iraniana, ma per tutti coloro che credono nel potere dell’arte come strumento di trasformazione sociale.
La mostra, che offre una panoramica sull’evoluzione della carriera artistica ultratrentennale di questa autentica e straordinaria donna, e che consta di più di duecento immagini fotografiche e di una vasta selezione di video – frutto di una ricerca espressiva segnata dalla sua storia personale, gravata dall’aver vissuto direttamente il trauma dell’esilio e la trasformazione della terra natale dopo la Rivoluzione Islamica -, si sviluppa come un percorso che mettendo in dialogo le radici iraniane con l’esperienza americana, conduce il visitatore in una riflessione sulle contraddizioni che derivano dalla frammentazione dell’identità.
“Body of Evidence” offre l’opportunità di entrare in connessione dinamica con oppressione e resistenza, potenza e vulnerabilità, presenza e assenza: in molte opere è manifesta la denuncia della marginalizzazione femminile nelle società islamiche, contrapposta alla contemporanea esaltazione di forza e resilienza delle donne – messa in scena con corpi femminili velati, spesso ricoperti da scritte in persiano, che diventano una sorta di “documento”, di “testimonianza visuale” di ingiustizie e violenze, ma al tempo stesso simboli di dignità e soggettività -; in altre, in cui è centrale il tema sempre molto attuale della tensione tra tradizione e modernità, tra Oriente e Occidente, Neshat scandaglia stereotipi, pregiudizi e incomprensioni reciproche, e si assume la responsabilità morale di favorire un confronto costruttivo tra mondi apparentemente inconciliabili, alla ricerca di una sintesi.
L’allestimento particolarmente coinvolgente, caratterizzato da ambienti sonori e visivi di grande impatto, catapulta il visitatore in un’atmosfera sospesa, in cui si è chiamati ad interrogarsi e a prendere posizione rispetto ai temi proposti da alcune delle opere più emblematiche dell’artista, talune esposte in grande formato, come le fotografie iconiche della serie “Women of Allah” e le video installazioni “Turbulent” e “Rapture”, affiancate suggestivamente dai suoi nuovi lavori, terreno per vagliare le dinamiche di potere, le forme di oppressione e le possibilità di emancipazione.
Come ha sottolineato Tommaso Sacchi, assessore alla Cultura del Comune di Milano, “Body of Evidence” rappresenta un’opportunità unica per esplorare il lavoro di un’artista che ci offre una lettura puntuale delle sfide del nostro tempo.
Personalmente trovo toccante come tuttora l’arte di Shirin Neshat riesca a ricordarci che il corpo, la memoria e la parola possono essere strumenti efficaci di testimonianza e di speranza.
(Virginia Nicoletti)












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