(Federica Cannas) – In Brasile, Manuela d’Ávila ha trasformato il modo di parlare al Paese, con una sensibilità unica.
In lei convivono la giornalista e la militante.
Manuela è figlia di Porto Alegre, città di pensiero critico e sperimentazione civica, culla del Forum Sociale Mondiale e del bilancio partecipativo. Lì ha imparato che la politica si fa nei quartieri, nei collettivi, nelle università.
Appartenente a una generazione cresciuta tra la democrazia riconquistata e la disillusione globale, ha fatto della rete uno strumento di connessione autentica.
Quando nel 2018 si candidò alla vicepresidenza del Brasile insieme a Fernando Haddad, divenne bersaglio di una violenta campagna di fake news. Invece di cedere, scelse di studiare il fenomeno, analizzarlo e raccontarlo. Da quella ferita è nata la sua riflessione più innovativa, quella sulla cultura dell’odio digitale e sulla necessità di rispondere con intelligenza, non con rabbia.
Ha trasformato un attacco in un laboratorio politico. È una delle poche figure che ha saputo leggere la tecnologia ma come spazio da riconquistare per la democrazia.
Il femminismo di Manuela non ha toni accademici né militanti in senso stretto. È un femminismo pragmatico, popolare, quotidiano.
Manuela ha reso la vulnerabilità una forza e e la trasparenza una forma di leadership. Costruisce consenso con l’onestà intellettuale, rara merce nella politica contemporanea.
Nel suo percorso, la figura di Luiz Inácio Lula da Silva è più di un riferimento politico. É un punto di dialogo tra due generazioni che si rispettano e si completano.
Lula incarna la memoria di una sinistra nata tra fabbriche e sindacati, Manuela rappresenta la sua evoluzione culturale, nata tra connessioni digitali e nuove sensibilità sociali.
Quando nel 2018 accettò di diventare candidata alla vicepresidenza accanto a Fernando Haddad, sostenuta dal Partito dei Lavoratori di Lula, lo fece per unire la tradizione e la novità.
Da allora tra i due è rimasto un legame di stima profonda. Lui vede in lei una voce che può parlare alle generazioni che non hanno vissuto le lotte operaie, ma che chiedono dignità e giustizia in altre forme.
Lei, a sua volta, considera Lula una figura imprescindibile della democrazia brasiliana, ma non teme di dire che la sinistra deve rinnovare il proprio linguaggio, aprirsi, imparare a parlare anche di cura, empatia e cultura digitale.
È un dialogo tra passato e futuro. Lui simbolo della ricostruzione, lei promessa del cambiamento.
Il Brasile di oggi è un laboratorio politico complesso, contraddittorio, acceso, creativo. È il luogo dove la sinistra cerca nuove forme per raccontarsi dopo le ferite degli anni passati.
In questo contesto, la figura di d’Ávila è una sintesi perfetta di modernità e radici, di memoria e futuro.
Il suo percorso, dal consiglio comunale di Porto Alegre fino alla corsa per la vicepresidenza, mostra un’altra idea di potere.
Attraverso la sua voce passa una parte del Brasile che vuole conciliare giustizia sociale e innovazione, passione e metodo.
Manuela appartiene a quella corrente di politiche sudamericane che stanno riscrivendo la grammatica della politica progressista.
C’è un filo che unisce il suo lavoro a quello di molte altre figure emergenti del continente. La convinzione che il Sudamerica sia un perfetto laboratorio di idee politiche e culturali.
Mentre l’Europa arranca tra disillusione e tecnocrazia, l’America Latina tenta di reinventare la democrazia come esperienza umana.
In questo scenario, Manuela d’Ávila rappresenta l’esperimento più raffinato. La possibilità che la politica possa tornare ad essere una forma di educazione collettiva, un luogo dove le persone si riconoscono.
Il suo linguaggio, inclusivo e diretto, il suo uso della comunicazione digitale, la sua capacità di restare fedele alle origini senza diventare nostalgica, ne fanno un modello di leadership nuova, tutta latinoamericana.
Nel 2024, dopo venticinque anni nel Partito Comunista del Brasile, Manuela ha annunciato di voler camminare da sola, definendosi “senza partito, ma non senza idee”.
Non è un addio alla sinistra, ma un tentativo di riformularne i codici.
E se il Brasile è, come spesso si dice, un continente nel continente, Manuela ne incarna la parte più viva. Quella che non si rassegna a scegliere tra utopia e realismo, e prova a inventare una terza via fatta di empatia, pensiero critico e creatività sociale.
Guardarla da lontano significa guardare un frammento del futuro.
Manuela d’Ávila ha capito che il potere più grande è quello di cambiare il linguaggio con cui si parla al mondo.
In un Sudamerica che si reinventa ogni giorno, la sua voce è un promemoria per chiunque creda ancora nella politica come forma di servizio verso il prossimo.
In lei convivono la giornalista e la militante.
Manuela è figlia di Porto Alegre, città di pensiero critico e sperimentazione civica, culla del Forum Sociale Mondiale e del bilancio partecipativo. Lì ha imparato che la politica si fa nei quartieri, nei collettivi, nelle università.
Appartenente a una generazione cresciuta tra la democrazia riconquistata e la disillusione globale, ha fatto della rete uno strumento di connessione autentica.
Quando nel 2018 si candidò alla vicepresidenza del Brasile insieme a Fernando Haddad, divenne bersaglio di una violenta campagna di fake news. Invece di cedere, scelse di studiare il fenomeno, analizzarlo e raccontarlo. Da quella ferita è nata la sua riflessione più innovativa, quella sulla cultura dell’odio digitale e sulla necessità di rispondere con intelligenza, non con rabbia.
Ha trasformato un attacco in un laboratorio politico. È una delle poche figure che ha saputo leggere la tecnologia ma come spazio da riconquistare per la democrazia.
Il femminismo di Manuela non ha toni accademici né militanti in senso stretto. È un femminismo pragmatico, popolare, quotidiano.
Manuela ha reso la vulnerabilità una forza e e la trasparenza una forma di leadership. Costruisce consenso con l’onestà intellettuale, rara merce nella politica contemporanea.
Nel suo percorso, la figura di Luiz Inácio Lula da Silva è più di un riferimento politico. É un punto di dialogo tra due generazioni che si rispettano e si completano.
Lula incarna la memoria di una sinistra nata tra fabbriche e sindacati, Manuela rappresenta la sua evoluzione culturale, nata tra connessioni digitali e nuove sensibilità sociali.
Quando nel 2018 accettò di diventare candidata alla vicepresidenza accanto a Fernando Haddad, sostenuta dal Partito dei Lavoratori di Lula, lo fece per unire la tradizione e la novità.
Da allora tra i due è rimasto un legame di stima profonda. Lui vede in lei una voce che può parlare alle generazioni che non hanno vissuto le lotte operaie, ma che chiedono dignità e giustizia in altre forme.
Lei, a sua volta, considera Lula una figura imprescindibile della democrazia brasiliana, ma non teme di dire che la sinistra deve rinnovare il proprio linguaggio, aprirsi, imparare a parlare anche di cura, empatia e cultura digitale.
È un dialogo tra passato e futuro. Lui simbolo della ricostruzione, lei promessa del cambiamento.
Il Brasile di oggi è un laboratorio politico complesso, contraddittorio, acceso, creativo. È il luogo dove la sinistra cerca nuove forme per raccontarsi dopo le ferite degli anni passati.
In questo contesto, la figura di d’Ávila è una sintesi perfetta di modernità e radici, di memoria e futuro.
Il suo percorso, dal consiglio comunale di Porto Alegre fino alla corsa per la vicepresidenza, mostra un’altra idea di potere.
Attraverso la sua voce passa una parte del Brasile che vuole conciliare giustizia sociale e innovazione, passione e metodo.
Manuela appartiene a quella corrente di politiche sudamericane che stanno riscrivendo la grammatica della politica progressista.
C’è un filo che unisce il suo lavoro a quello di molte altre figure emergenti del continente. La convinzione che il Sudamerica sia un perfetto laboratorio di idee politiche e culturali.
Mentre l’Europa arranca tra disillusione e tecnocrazia, l’America Latina tenta di reinventare la democrazia come esperienza umana.
In questo scenario, Manuela d’Ávila rappresenta l’esperimento più raffinato. La possibilità che la politica possa tornare ad essere una forma di educazione collettiva, un luogo dove le persone si riconoscono.
Il suo linguaggio, inclusivo e diretto, il suo uso della comunicazione digitale, la sua capacità di restare fedele alle origini senza diventare nostalgica, ne fanno un modello di leadership nuova, tutta latinoamericana.
Nel 2024, dopo venticinque anni nel Partito Comunista del Brasile, Manuela ha annunciato di voler camminare da sola, definendosi “senza partito, ma non senza idee”.
Non è un addio alla sinistra, ma un tentativo di riformularne i codici.
E se il Brasile è, come spesso si dice, un continente nel continente, Manuela ne incarna la parte più viva. Quella che non si rassegna a scegliere tra utopia e realismo, e prova a inventare una terza via fatta di empatia, pensiero critico e creatività sociale.
Guardarla da lontano significa guardare un frammento del futuro.
Manuela d’Ávila ha capito che il potere più grande è quello di cambiare il linguaggio con cui si parla al mondo.
In un Sudamerica che si reinventa ogni giorno, la sua voce è un promemoria per chiunque creda ancora nella politica come forma di servizio verso il prossimo.












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