(Federica Cannas) Basta andare in Portogallo e lì, in quel lembo di terra disegnata dal vento, c’è una Costituzione che parla di diritti, dignità, cultura, ambiente e felicità. Sì, felicità.
Siamo nel 1976. La Rivoluzione dei Garofani è appena esplosa, senza spargere sangue ma liberando un popolo da mezzo secolo di dittatura. I portoghesi non vogliono una transizione morbida, ma una rottura radicale. E la loro nuova Carta fondamentale riflette questo desiderio. Scritta a più mani, tra socialisti, comunisti e democratici progressisti, è forse il testo costituzionale più audace e visionario dell’Europa occidentale.
L’articolo 1 traccia una visione netta, quasi poetica, di ciò che lo Stato vuole essere. Il Portogallo è una Repubblica fondata sulla dignità della persona umana e sulla volontà popolare. Ma è all’articolo 9 che il disegno si fa concreto. Tra i compiti fondamentali dello Stato c’è quello di “assicurare il benessere e la qualità della vita del popolo”. Non si tratta di una formula vaga. Quel benessere è descritto con parole precise e potenti. Lo Stato portoghese si impegna a promuovere “il benessere e la qualità della vita del popolo e l’uguaglianza sostanziale tra i portoghesi”, rendendo effettivi i diritti economici, sociali, culturali e ambientali attraverso la trasformazione e la modernizzazione delle strutture economiche e sociali. È qui che prende forma l’idea più audace. Si immagina uno Stato che promette felicità, che si assume il compito politico di rendere possibile una vita piena, degna. Un’ambizione che oggi suona quasi rivoluzionaria.
E non è solo teoria. Nella pratica, quella Costituzione disegna un Portogallo in cui ogni cittadino ha diritto alla salute, al lavoro, alla casa, all’istruzione gratuita, alla cultura, alla protezione ambientale, alla maternità e all’inclusione sociale. Non si tratta di concessioni, ma di doveri dello Stato. In tempi di diritti sempre più negoziabili, una vera anomalia.
C’è un passaggio chiave, poco noto, che dice molto di questo testo. La cultura è trattata come un diritto costituzionale collettivo. Democratizzare la cultura non significa solo accesso ai musei, ma possibilità di partecipare attivamente alla produzione e alla diffusione del sapere. È un principio potentemente contemporaneo, oggi più vivo che mai.
Lo stesso vale per l’ambiente. Già nel ’76, il Portogallo inserisce tra i diritti fondamentali l’accesso a un ambiente ecologicamente equilibrato, anticipando sensibilità che oggi sono ancora oggetto di scontro.
E poi il lavoro come esperienza di dignità. Ogni persona ha diritto a un’occupazione che rispetti la sua salute fisica e mentale, che consenta partecipazione e realizzazione personale. In altre parole, il lavoro non è una condanna, ma un mezzo per vivere meglio. Un’idea che oggi farebbe scalpore in certi salotti televisivi.
Certo, il tempo ha provato a smussarne i tratti più radicali. Negli anni Ottanta e Novanta, alcune revisioni hanno tentato di addolcirne il profilo, in particolare per aprire al mercato e all’integrazione europea. Ma il cuore è rimasto intatto. E nei momenti più bui, come durante la crisi dell’austerità imposta dalla Troika, quella Costituzione è tornata a vivere. Invocata da giudici, intellettuali, studenti, lavoratori.
Mentre nel resto d’Europa si discute se e quanto ridurre il welfare, il Portogallo continua a custodire un testo che difende la giustizia sociale non come un’opzione, ma come una condizione di cittadinanza. E lo fa nonostante le pressioni economiche, le crisi politiche, le ondate conservatrici.
La vera modernità, forse, è proprio questa. Scrivere un futuro nel linguaggio dei diritti. E difenderlo anche quando non conviene.
Nel Portogallo di oggi, tra le strade di Lisbona e i vicoli di Porto, tra le piazze universitarie e i bar dove si suona ancora il fado, quella Costituzione non è solo un ricordo. È una voce che continua a parlare. Che si interroga. Che chiede cosa significhi, oggi, garantire la felicità. Cosa siamo disposti a fare per proteggerla?
Non sarà perfetta. Ma in un’Europa sempre più tecnocratica e impaurita, la Costituzione portoghese resta una dichiarazione d’amore per l’umanità. E no, non è poco.
Siamo nel 1976. La Rivoluzione dei Garofani è appena esplosa, senza spargere sangue ma liberando un popolo da mezzo secolo di dittatura. I portoghesi non vogliono una transizione morbida, ma una rottura radicale. E la loro nuova Carta fondamentale riflette questo desiderio. Scritta a più mani, tra socialisti, comunisti e democratici progressisti, è forse il testo costituzionale più audace e visionario dell’Europa occidentale.
L’articolo 1 traccia una visione netta, quasi poetica, di ciò che lo Stato vuole essere. Il Portogallo è una Repubblica fondata sulla dignità della persona umana e sulla volontà popolare. Ma è all’articolo 9 che il disegno si fa concreto. Tra i compiti fondamentali dello Stato c’è quello di “assicurare il benessere e la qualità della vita del popolo”. Non si tratta di una formula vaga. Quel benessere è descritto con parole precise e potenti. Lo Stato portoghese si impegna a promuovere “il benessere e la qualità della vita del popolo e l’uguaglianza sostanziale tra i portoghesi”, rendendo effettivi i diritti economici, sociali, culturali e ambientali attraverso la trasformazione e la modernizzazione delle strutture economiche e sociali. È qui che prende forma l’idea più audace. Si immagina uno Stato che promette felicità, che si assume il compito politico di rendere possibile una vita piena, degna. Un’ambizione che oggi suona quasi rivoluzionaria.
E non è solo teoria. Nella pratica, quella Costituzione disegna un Portogallo in cui ogni cittadino ha diritto alla salute, al lavoro, alla casa, all’istruzione gratuita, alla cultura, alla protezione ambientale, alla maternità e all’inclusione sociale. Non si tratta di concessioni, ma di doveri dello Stato. In tempi di diritti sempre più negoziabili, una vera anomalia.
C’è un passaggio chiave, poco noto, che dice molto di questo testo. La cultura è trattata come un diritto costituzionale collettivo. Democratizzare la cultura non significa solo accesso ai musei, ma possibilità di partecipare attivamente alla produzione e alla diffusione del sapere. È un principio potentemente contemporaneo, oggi più vivo che mai.
Lo stesso vale per l’ambiente. Già nel ’76, il Portogallo inserisce tra i diritti fondamentali l’accesso a un ambiente ecologicamente equilibrato, anticipando sensibilità che oggi sono ancora oggetto di scontro.
E poi il lavoro come esperienza di dignità. Ogni persona ha diritto a un’occupazione che rispetti la sua salute fisica e mentale, che consenta partecipazione e realizzazione personale. In altre parole, il lavoro non è una condanna, ma un mezzo per vivere meglio. Un’idea che oggi farebbe scalpore in certi salotti televisivi.
Certo, il tempo ha provato a smussarne i tratti più radicali. Negli anni Ottanta e Novanta, alcune revisioni hanno tentato di addolcirne il profilo, in particolare per aprire al mercato e all’integrazione europea. Ma il cuore è rimasto intatto. E nei momenti più bui, come durante la crisi dell’austerità imposta dalla Troika, quella Costituzione è tornata a vivere. Invocata da giudici, intellettuali, studenti, lavoratori.
Mentre nel resto d’Europa si discute se e quanto ridurre il welfare, il Portogallo continua a custodire un testo che difende la giustizia sociale non come un’opzione, ma come una condizione di cittadinanza. E lo fa nonostante le pressioni economiche, le crisi politiche, le ondate conservatrici.
La vera modernità, forse, è proprio questa. Scrivere un futuro nel linguaggio dei diritti. E difenderlo anche quando non conviene.
Nel Portogallo di oggi, tra le strade di Lisbona e i vicoli di Porto, tra le piazze universitarie e i bar dove si suona ancora il fado, quella Costituzione non è solo un ricordo. È una voce che continua a parlare. Che si interroga. Che chiede cosa significhi, oggi, garantire la felicità. Cosa siamo disposti a fare per proteggerla?
Non sarà perfetta. Ma in un’Europa sempre più tecnocratica e impaurita, la Costituzione portoghese resta una dichiarazione d’amore per l’umanità. E no, non è poco.












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