C’è un silenzio sporco che avvolge la Sardegna. Non è il silenzio del maestrale che soffia sulle coste, né quello delle campagne abbandonate. È il silenzio amaro di chi, perbene, ha smesso di parlare. Di chi ha paura. Di chi lavora, costruisce, aiuta gli altri, ma viene osservato con diffidenza, giudicato, isolato. E spesso, crocifisso.
Sì, perché nella Sardegna di oggi – nei corridoi imbottiti di ipocrisia degli enti pubblici, delle agenzie regionali, delle università lottizzate e dei consorzi farlocchi – non è la competenza che ti salva. È l’appartenenza. È la tessera giusta, la loggia giusta, l’amico giusto. È il massone giusto.
Viviamo in una terra in cui a comandare sono spesso individui mediocri, arroganti, senza scrupoli, sorretti da un sistema politico-burocratico che tutto tutela, tranne l’onestà. Un sistema che protegge i professionisti dell’accattonaggio istituzionale, i parassiti delle prebende pubbliche, i “funzionari” della raccomandazione, i “commissari” delle amicizie e dei favori.
E poi ci sono loro: gli untori. Quelli che parlano con voce tremante di moralismo, che giudicano gli altri dal pulpito della loro ipocrisia, che puntano il dito sugli onesti, distruggendoli con la calunnia, con l’allusione, con la macchina del fango. Quelli che non conoscono nulla della tua vita, nulla dei tuoi sacrifici, nulla delle notti passate a costruire e a non chiedere nulla. Ma giudicano. Sentenziano. Condannano.
Nel frattempo, chi lavora davvero, chi si spacca la schiena per portare il pane a casa, non ha né il tempo né l’energia di stare dietro a queste guerre di potere. Non si siede nei salotti buoni, non frequenta le stanze delle decisioni, non partecipa ai brindisi dei burattinai. Ma viene ugualmente trascinato nel fango, perché troppo libero, troppo bravo, troppo fuori dal coro.
E così la Sardegna si spegne. Non per mancanza di risorse, ma per mancanza di giustizia. Perché nessuno tutela chi merita. Perché chi alza la testa viene colpito. Perché chi costruisce viene abbattuto. E chi distrugge, chi ruba, chi mente, chi si traveste da autorità morale mentre vive nel marcio… viene invece premiato, promosso, riverito.
Siamo davanti a un sistema di terrore sociale mascherato da civiltà. Un regime dell’apparenza in cui i giudici – morali e reali – si permettono di emettere sentenze sulla vita degli altri senza conoscere nulla: né la loro famiglia, né il loro percorso, né il valore del loro lavoro.
Questo è il vero disastro della Sardegna contemporanea. Non il disoccupato, non il crollo demografico, non l’assenza di infrastrutture. Il vero dramma è l’umiliazione sistematica delle persone perbene. È la sottomissione quotidiana a un potere che si riproduce solo grazie all’invidia, alla calunnia, alla mediocrità eretta a sistema.
E allora sì, è difficile vivere qui. È doloroso restare. Ma è anche necessario alzare la voce, rompere il silenzio. Perché chi tace acconsente, e noi – noi che non abbiamo paura di dire le cose come stanno – non possiamo più permetterci il lusso di acconsentire.
di Raimondo Schiavone












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