(Federica Cannas) – Cime tempestose. L’unico romanzo di Emily Brontë. L’unico che abbia scritto, l’unico che abbia lasciato.
Emily era la più schiva, la più silenziosa delle tre sorelle Brontë. Charlotte pubblicò, tra gli altri, Jane Eyre, Anne Agnes Grey. Emily, invece, non scrisse altro. Nessun altro romanzo. Solo questo, feroce e inarrestabile, come il vento sulle brughiere dello Yorkshire.
Wuthering Heights non è un romanzo d’amore. È l’amore stesso, spogliato di ogni ornamento. È quello che resta quando ogni regola sociale è crollata, quando il tempo non consola, quando la passione non guarisce.
Heathcliff e Catherine si appartengono, sono parte della stessa sostanza. Sono ciò che accade quando l’amore non ha paura di mostrarsi nella sua forma più nuda e più disturbante.
Quando Catherine dice: “He’s more myself than I am. Whatever our souls are made of, his and mine are the same”, parla come qualcuna che ha riconosciuto la propria identità in un altro essere umano. È una verità primaria, che brucia e resta.
Sì, è un amore che non redime. Non ha un lieto fine. Ma è un amore vero. Autentico. Senza freni, senza compromessi, senza maschere. E proprio per questo, è raro. Emily Brontë non ci racconta una storia romantica. Ci sbatte in faccia una verità. Non tutto ciò che è eterno dura, e non tutto ciò che finisce è meno profondo. L’amore non deve necessariamente salvarci per essere reale. Può anche distruggerci. E in quel tempo — breve o lungo — contenere tutto.
Catherine non sposa Heathcliff. Heathcliff non perdona. Nessuno dei due cambia per l’altro. Ma niente, in loro, è falso.
E forse è questo che ci fa tremare ancora, leggendo quelle pagine. L’assenza di morale. L’assenza di redenzione. Ma anche, in fondo, l’assenza di menzogna.
Che Emily non abbia scritto altro non è una mancanza. Wuthering Heights è opera unica e totale, come certi amori.
Quelli che non si possono raccontare bene a nessuno. Quelli che lasciano dentro la sensazione che tutto il resto, prima e dopo, sia solo silenzio.
E quando Catherine dice “He’s more myself than I am” non parla soltanto per sé. Parla per chi ha amato senza protezione. Per chi ha perso tutto, ma ha avuto qualcosa che non si può spiegare. Per chi ha capito che anche un amore a tempo può essere eterno.
Emily era la più schiva, la più silenziosa delle tre sorelle Brontë. Charlotte pubblicò, tra gli altri, Jane Eyre, Anne Agnes Grey. Emily, invece, non scrisse altro. Nessun altro romanzo. Solo questo, feroce e inarrestabile, come il vento sulle brughiere dello Yorkshire.
Wuthering Heights non è un romanzo d’amore. È l’amore stesso, spogliato di ogni ornamento. È quello che resta quando ogni regola sociale è crollata, quando il tempo non consola, quando la passione non guarisce.
Heathcliff e Catherine si appartengono, sono parte della stessa sostanza. Sono ciò che accade quando l’amore non ha paura di mostrarsi nella sua forma più nuda e più disturbante.
Quando Catherine dice: “He’s more myself than I am. Whatever our souls are made of, his and mine are the same”, parla come qualcuna che ha riconosciuto la propria identità in un altro essere umano. È una verità primaria, che brucia e resta.
Sì, è un amore che non redime. Non ha un lieto fine. Ma è un amore vero. Autentico. Senza freni, senza compromessi, senza maschere. E proprio per questo, è raro. Emily Brontë non ci racconta una storia romantica. Ci sbatte in faccia una verità. Non tutto ciò che è eterno dura, e non tutto ciò che finisce è meno profondo. L’amore non deve necessariamente salvarci per essere reale. Può anche distruggerci. E in quel tempo — breve o lungo — contenere tutto.
Catherine non sposa Heathcliff. Heathcliff non perdona. Nessuno dei due cambia per l’altro. Ma niente, in loro, è falso.
E forse è questo che ci fa tremare ancora, leggendo quelle pagine. L’assenza di morale. L’assenza di redenzione. Ma anche, in fondo, l’assenza di menzogna.
Che Emily non abbia scritto altro non è una mancanza. Wuthering Heights è opera unica e totale, come certi amori.
Quelli che non si possono raccontare bene a nessuno. Quelli che lasciano dentro la sensazione che tutto il resto, prima e dopo, sia solo silenzio.
E quando Catherine dice “He’s more myself than I am” non parla soltanto per sé. Parla per chi ha amato senza protezione. Per chi ha perso tutto, ma ha avuto qualcosa che non si può spiegare. Per chi ha capito che anche un amore a tempo può essere eterno.












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