Le sue canzoni non parlano di grandi eventi, ma di quegli istanti minuscoli in cui si riflette la vita di tutti. Un addio sussurrato, un gesto che si ripete, la nostalgia di un luogo che non è mai del tutto tuo. Dietro la sua voce limpida, si muove un intero continente. Un continente che ha imparato a vivere tra il sogno e la sopravvivenza, tra la memoria e la modernità.
Nata a Tijuana, città di frontiera per eccellenza, Julieta Venegas ha rappresentato da sempre il destino duplice di chi cresce tra due mondi. Il suo pop è linguaggio universale. Riesce a unire chi ascolta da Città del Messico, Buenos Aires o Madrid, perché parla di ciò che ogni donna e ogni uomo conoscono. L’attesa, la perdita, la libertà, l’amore.
C’è in lei un realismo dolce, una consapevolezza che la vita, come canta in Limón y sal, è un equilibrio di contrasti.
La sua generazione, quella dei latinoamericani nati tra dittature e transizioni democratiche, ha vissuto la globalizzazione come promessa e come ferita. Julieta ne è la testimone più delicata. La sua musica attraversa l’Atlantico senza smettere di appartenere al suo Paese. È cosmopolita e nello stesso tempo radicata, é moderna, ma piena di memoria.
In Me voy, una delle sue canzoni più note, c’è anche il racconto simbolico di un popolo che deve imparare ad andarsene per poter tornare, che cerca altrove una voce con cui parlare di sé. Ogni brano di Julieta sembra dire che l’identità è un movimento continuo, una scelta di apertura.
Per questo la sua figura è diventata, quasi senza volerlo, un riferimento per le nuove generazioni di artiste e artisti latinoamericani. Non solo per la qualità della sua musica, ma per la coerenza di un percorso.
Julieta Venegas rappresenta un modo di essere latinoamericano nel XXI secolo, sospeso tra il locale e il globale, tra l’orgoglio delle radici e la curiosità del futuro.
Nelle sue melodie, leggere ma costruite con precisione artigianale, c’è tutta la complessità di un continente che si riconosce nella semplicità di una voce.
E forse è questo il suo segreto. Raccontare l’America Latina con grazia. Come se per capire un Paese, o un tempo, bastasse ascoltare come batte il cuore di chi lo abita.












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