(Federica Cannas) – Talvolta un gesto semplice diventa simbolo di un Paese intero. Così è stato quando il presidente del Cile Gabriel Boric, insieme alla compagna Irina Karamanos, ha inaugurato le Fondás del Parque O’Higgins danzando la cueca, la danza che rappresenta un atto d’amore. Amore per la propria compagna, certo, ma soprattutto amore per il popolo cileno, per la sua storia e per le radici comuni che si rinnovano ogni anno, tra bandiere che sventolano.
La cueca è la danza nazionale del Cile. Nasce come rappresentazione simbolica del corteggiamento. L’uomo e la donna si fronteggiano, si avvicinano e si allontanano, seguendo il ritmo vivace della chitarra, dell’arpa e del tamburello. In mano tengono un fazzoletto bianco che diventa prolungamento del corpo, linguaggio di seduzione e gioco. È un ballo che unisce grazia e sfida, imitazione del gallo e della gallina, trasformato nel tempo in linguaggio identitario. In ogni passo e in ogni gesto del fazzoletto c’è la memoria di un Paese che ha saputo fondere culture diverse – indigene, africane, spagnole – e che oggi si ritrova unito in quella coreografia.
Vedere il Presidente ballarla è stato un modo per dire siamo parte di una stessa comunità. Un segno di vicinanza, un invito a riscoprire che la politica può anche essere tenerezza, gesto condiviso, appartenenza.
A rafforzare questo senso di unità è arrivato anche il post della Ministra portavoce del governo Camila Vallejo, che ha ricordato il valore del piede di cueca, quell’unità di danza che scandisce il ritmo della festa nazionale. Le sue parole hanno fatto emergere la dimensione repubblicana della tradizione. Dietro la gioia dei balli c’è l’idea di un Paese che si riconosce, che dialoga, che si tiene insieme.
La cueca, in fondo, è il battito del Cile. È la stessa forza che in Spagna si esprime nel flamenco o che in Portogallo si canta nel fado. Arti popolari che raccontano emozioni profonde, dolori e speranze, e che nel tempo sono diventate patrimonio identitario. La differenza è che in Cile si balla in due, e in quel passo a passo si intreccia il destino di un popolo intero.
Guardando Boric e la compagna danzare, e leggendo le parole di Camila Vallejo, si capisce che la cueca non è una danza relegata al passato. È qualcosa di vivo, che parla di unità, memoria e futuro. È la prova che l’amore, quando oltre la dimensione privata si apre al popolo, può essere la più alta forma di politica.
E ogni volta che un fazzoletto bianco si alza nell’aria, è il passato che si intreccia con il futuro. È come se il Cile intero danzasse all’unisono, dalle Ande al Pacifico, dalle città ai villaggi più remoti. Un popolo che si riconosce nei propri gesti, che resiste e si rinnova, che nella musica e nei passi intrecciati custodisce la sua più autentica dichiarazione d’identità. Un fazzoletto che vola, e insieme a lui vola l’anima di una nazione che non smette mai di reinventarsi, trovando nella cueca la sua forma più semplice e al tempo stesso più profonda di unità.