(Federica Cannas) Nel XIV secolo, mentre gran parte d’Europa viveva sotto legislazioni frammentarie e un diritto spesso influenzato da arbitrarietà feudali, in Sardegna prendeva forma un codice giuridico straordinario: la Carta de Logu d’Arborea.
Attribuita spesso a Eleonora d’Arborea, questa raccolta di leggi affonda in realtà le sue radici nel lavoro legislativo di Mariano IV, padre della giudicessa e sovrano del Giudicato d’Arborea dal 1347 al 1376. Mariano, uomo di cultura e di grande visione politica, comprese la necessità di un sistema normativo organico, capace di garantire ordine e stabilità in un regno minacciato dalle mire espansionistiche della Corona d’Aragona. Egli avviò una riforma della legislazione giudicale, unificando norme e consuetudini locali in un corpus giuridico strutturato.
Tuttavia, la versione definitiva della Carta de Logu che conosciamo oggi si deve a Eleonora d’Arborea, che nel 1392 la promulgò ufficialmente, ampliandone il contenuto e adattandola alle esigenze del regno. Grazie a questa revisione, il codice assunse una forma ancora più moderna e coerente, diventando un punto di riferimento giuridico non solo per il Giudicato d’Arborea, ma anche per i territori che successivamente lo ereditarono.
Ciò che rende la Carta de Logu straordinaria non è solo la sua longevità – rimase in vigore fino al 1827 – ma soprattutto la sua modernità. Se oggi venisse presentata come una costituzione ottocentesca, nessuno si stupirebbe. Il suo linguaggio giuridico chiaro, le norme ispirate a equità e proporzionalità e la tutela delle fasce deboli la rendono un documento che va ben oltre il Medioevo.
Ma quali erano gli elementi che ne facevano un codice all’avanguardia?
Mariano IV non agì in modo improvvisato. Il suo obiettivo era creare una legislazione solida che rafforzasse l’autorità statale e garantisse una giustizia uniforme su tutto il territorio. Fino ad allora, le leggi nel giudicato di Arborea erano in gran parte consuetudinarie o frammentate in diverse raccolte locali. Mariano decise di unificarle in un codice organico, scritto in modo chiaro e accessibile.
Il suo regno fu segnato da forti tensioni con la Corona d’Aragona, che voleva annettere il Giudicato d’Arborea. In questo contesto, la Carta de Logu non era solo uno strumento giuridico, ma anche un atto politico, volto a rafforzare l’identità e l’autonomia di fronte alle minacce esterne.
Alla morte di Mariano IV, il trono passò a suo figlio Ugone III, che regnò dal 1376 al 1383. Tuttavia, Ugone non apportò modifiche significative al codice. Dopo la sua scomparsa, fu Eleonora d’Arborea a riprendere il lavoro legislativo del padre, perfezionandolo e promulgandolo ufficialmente nel 1392.
Uno degli aspetti più innovativi della Carta de Logu riguarda la condizione giuridica delle donne. Mariano IV aveva già introdotto alcune tutele, ma fu Eleonora a consolidarle e renderle un principio giuridico chiaro.
Le donne potevano ereditare beni, amministrarli autonomamente e non erano soggette alla totale tutela maschile, come invece accadeva nella maggior parte delle legislazioni europee del tempo. Questo si rifletteva anche nella figura stessa di Eleonora d’Arborea, che governò con l’autorità di un sovrano, dimostrando che il Giudicato d’Arborea riconosceva la guida politica femminile come legittima e autorevole.
Un altro elemento rivoluzionario della Carta de Logu fu la regolamentazione della faida. Sebbene non fosse del tutto abolita, il codice stabiliva un sistema di pene e risarcimenti che mirava a ridurre la pratica della giustizia privata, sostituendola con un apparato giuridico centralizzato e regolato dallo Stato.
Inoltre, la Carta introdusse il principio della proporzionalità delle pene, un concetto che oggi diamo per scontato, ma che nel XIV secolo era rivoluzionario. Le punizioni non erano più arbitrarie, ma graduate in base alla gravità del reato. Per molti illeciti, era previsto un risarcimento economico invece di pene corporali, anticipando così il moderno concetto di giustizia riparativa.
Sorprendentemente, la Carta de Logu conteneva norme che oggi potremmo definire di gestione sostenibile delle risorse. Regolava l’uso di boschi e acque, vietava il pascolo abusivo e stabiliva sanzioni per chi danneggiava le risorse naturali.
Queste leggi, introdotte inizialmente da Mariano IV, non erano frutto di una visione ecologista in senso moderno, ma servivano a preservare la produttività agricola e pastorale, evitando il depauperamento del suolo e garantendo la sostenibilità economica del regno. Eleonora, con la sua revisione, rafforzò ulteriormente questi principi.
Un altro elemento di modernità della Carta de Logu era la sua forma scritta in una variante del sardo-logudorese con forti influenze toscane e latine. Mentre in molte parti d’Europa il diritto era ancora appannaggio di giuristi che scrivevano in latino, rendendo le leggi incomprensibili alla popolazione, la Carta de Logu fu concepita per essere più accessibile.
Questa scelta garantiva la certezza del diritto, un principio cardine delle democrazie moderne: ogni cittadino poteva sapere con chiarezza quali fossero le regole e quali le conseguenze di un’infrazione. Non a caso, il codice rimase in vigore fino al XIX secolo, dimostrando la sua straordinaria efficacia.
Se Mariano IV pose le basi per un codice giuridico innovativo e strutturato, Eleonora d’Arborea ne fece un simbolo di equità e giustizia. La sua promulgazione non fu solo un atto legislativo, ma un vero manifesto politico per un’isola che cercava di autodeterminarsi e governarsi con regole giuste e chiare.
Oggi, la Carta de Logu è considerata uno dei più avanzati testi giuridici medievali. La sua influenza si ritrova nei principi del diritto moderno: dalla tutela delle donne alla proporzionalità delle pene, dalla gestione sostenibile delle risorse alla trasparenza legislativa.
In un’epoca in cui la legge era spesso strumento di arbitrio, rappresentò un faro di civiltà e giustizia. E il fatto che sia nata dalla visione di un padre e dalla determinazione di una figlia la rende una storia ancora più affascinante, degna di essere riscoperta e celebrata.
Forse il fascino della Carta de Logu sta proprio nel modo in cui viene ridisegnata e tratteggiata la realtà della Sardegna del tempo, che appare come un acquerello dolcissimo, dai colori della terra in essa contenuti.