(Federica Cannas) Blaise Pascal. Filosofo, matematico, fisico, inventore, mistico, pensatore inquieto. Un uomo del Seicento, ma con lo sguardo che andava ben oltre il suo tempo. Il suo nome è legato a teoremi e calcoli, ma il suo pensiero è qualcosa che ancora oggi riesce a toccare l’anima.
Sapeva che l’essere umano è sempre in equilibrio instabile tra grandezza e miseria. Troppo intelligente per vivere senza domande, troppo fragile per trovare risposte definitive. Un animale che pensa all’infinito eppure si lascia distrarre da un nonnulla. Capace di costruire cattedrali e di disperarsi per una partita di carte persa.
Era un genio, ma anche un uomo tormentato. Soffriva di emicranie atroci, era ossessionato dalla brevità della vita, eppure non smise mai di interrogarsi su ciò che conta davvero. Non si accontentava delle certezze comode. Preferiva il dubbio, perché solo chi dubita è davvero libero.
Nel suo tratta “Pensieri”, ha definito l’uomo “una canna pensante”. Fragile, vulnerabile, esposto al vento dell’esistenza. Ma sa di esserlo. A renderci grandi è la consapevolezza della nostra condizione.
Un’idea che oggi suona ancora più attuale. Il mondo corre veloce, la tecnologia brucia il tempo, eppure la sensazione di precarietà resta. La grandezza di Pascal sta nel non cercare scappatoie. Non illude, non addolcisce la realtà. La vita è instabile, sfuggente, imprevedibile. Accettarlo è il primo passo per non farsi schiacciare.
Un filosofo che parla di scommesse non si vede tutti i giorni. E la sua è la più famosa di tutte. Credere o non credere in Dio. Un gioco d’azzardo metafisico con puntate altissime.
La sua idea è semplice e geniale. Se Dio esiste e si crede in Lui, si guadagna tutto. Se non esiste, si perde poco. Se invece non si crede e Dio esiste, si perde tutto. Quindi, tanto vale credere.
Non è un ragionamento per mistici o teologi. È pura logica. Una mente matematica applicata alla fede. Non prova l’esistenza di Dio, ma dimostra che la scommessa migliore è puntare su di lui.
Oggi, questa scommessa potrebbe valere per qualsiasi grande scelta della vita. Rischiare o restare fermi? Buttarsi in qualcosa di nuovo o restare nella comfort zone? Ogni decisione è un salto nel buio. Si vince solo giocando. E perdere senza avere giocato è l’unico vero fallimento.
Pascal aveva capito un’altra grande verità: l’uomo non sa stare solo con i propri pensieri.
Passiamo la vita a riempire il tempo con distrazioni, lavoro, impegni, svaghi, per evitare il vuoto. Per non affrontare le domande che ci fanno paura.
Lui chiama tutto questo “divertissement”, ossia l’illusione che ci tiene lontani dalla vera condizione umana. Un’evasione dal pensiero della nostra finitezza, un inganno necessario per sfuggire al vuoto dell’esistenza.
E se questo era vero nel Seicento, oggi lo è ancora di più. La frenesia, la connessione continua, il bisogno di riempire ogni istante con qualcosa. Tutto questo ci protegge, ma ci allontana da noi stessi.
Pascal non ci dice di rinunciare al mondo. Ci invita solo a non vivere nella distrazione continua. A fermarci, ogni tanto, e ad ascoltare il rumore del nostro stesso pensiero.
Il suo trattato Pensieri è un’insieme di frammenti, intuizioni, lampi di genialità lasciati a metà. Frasi che esplodono e colpiscono ancora oggi. Non cercava risposte definitive, ma spingeva a pensare. Non prometteva felicità, ma mostrava la strada per non perdersi.
Un filosofo che amava il dubbio, ma non la superficialità. Che sapeva che la vita è una partita difficile, ma che vale sempre la pena giocare. Che non voleva addolcire il mondo, ma renderlo più chiaro, con tutto il suo caos e la sua bellezza.
Finché l’uomo continuerà a interrogarsi sul senso della propria esistenza, Pascal avrà sempre qualcosa da dire a tutti noi.
Sapeva che l’essere umano è sempre in equilibrio instabile tra grandezza e miseria. Troppo intelligente per vivere senza domande, troppo fragile per trovare risposte definitive. Un animale che pensa all’infinito eppure si lascia distrarre da un nonnulla. Capace di costruire cattedrali e di disperarsi per una partita di carte persa.
Era un genio, ma anche un uomo tormentato. Soffriva di emicranie atroci, era ossessionato dalla brevità della vita, eppure non smise mai di interrogarsi su ciò che conta davvero. Non si accontentava delle certezze comode. Preferiva il dubbio, perché solo chi dubita è davvero libero.
Nel suo tratta “Pensieri”, ha definito l’uomo “una canna pensante”. Fragile, vulnerabile, esposto al vento dell’esistenza. Ma sa di esserlo. A renderci grandi è la consapevolezza della nostra condizione.
Un’idea che oggi suona ancora più attuale. Il mondo corre veloce, la tecnologia brucia il tempo, eppure la sensazione di precarietà resta. La grandezza di Pascal sta nel non cercare scappatoie. Non illude, non addolcisce la realtà. La vita è instabile, sfuggente, imprevedibile. Accettarlo è il primo passo per non farsi schiacciare.
Un filosofo che parla di scommesse non si vede tutti i giorni. E la sua è la più famosa di tutte. Credere o non credere in Dio. Un gioco d’azzardo metafisico con puntate altissime.
La sua idea è semplice e geniale. Se Dio esiste e si crede in Lui, si guadagna tutto. Se non esiste, si perde poco. Se invece non si crede e Dio esiste, si perde tutto. Quindi, tanto vale credere.
Non è un ragionamento per mistici o teologi. È pura logica. Una mente matematica applicata alla fede. Non prova l’esistenza di Dio, ma dimostra che la scommessa migliore è puntare su di lui.
Oggi, questa scommessa potrebbe valere per qualsiasi grande scelta della vita. Rischiare o restare fermi? Buttarsi in qualcosa di nuovo o restare nella comfort zone? Ogni decisione è un salto nel buio. Si vince solo giocando. E perdere senza avere giocato è l’unico vero fallimento.
Pascal aveva capito un’altra grande verità: l’uomo non sa stare solo con i propri pensieri.
Passiamo la vita a riempire il tempo con distrazioni, lavoro, impegni, svaghi, per evitare il vuoto. Per non affrontare le domande che ci fanno paura.
Lui chiama tutto questo “divertissement”, ossia l’illusione che ci tiene lontani dalla vera condizione umana. Un’evasione dal pensiero della nostra finitezza, un inganno necessario per sfuggire al vuoto dell’esistenza.
E se questo era vero nel Seicento, oggi lo è ancora di più. La frenesia, la connessione continua, il bisogno di riempire ogni istante con qualcosa. Tutto questo ci protegge, ma ci allontana da noi stessi.
Pascal non ci dice di rinunciare al mondo. Ci invita solo a non vivere nella distrazione continua. A fermarci, ogni tanto, e ad ascoltare il rumore del nostro stesso pensiero.
Il suo trattato Pensieri è un’insieme di frammenti, intuizioni, lampi di genialità lasciati a metà. Frasi che esplodono e colpiscono ancora oggi. Non cercava risposte definitive, ma spingeva a pensare. Non prometteva felicità, ma mostrava la strada per non perdersi.
Un filosofo che amava il dubbio, ma non la superficialità. Che sapeva che la vita è una partita difficile, ma che vale sempre la pena giocare. Che non voleva addolcire il mondo, ma renderlo più chiaro, con tutto il suo caos e la sua bellezza.
Finché l’uomo continuerà a interrogarsi sul senso della propria esistenza, Pascal avrà sempre qualcosa da dire a tutti noi.