Al Trinity Buoy Wharf di Londra, sulla riva del Tamigi, nell’attico di quello che fu laboratorio di Michael Faraday, una melodia si dispiega ininterrottamente da più di venticinque anni, e continuerà a farlo fino al dicembre del 2999.
Questa è la casa di <Longplayer>, l’opera-installazione di Jem Finer, musicista, visionario, custode di una tradizione che si reinventa mentre il mondo fuori cambia volto.
Cresciuto in una Londra animata dalle pulsioni del punk e dalle riflessioni colte nei pub dove si radunavano scrittori e outsider, Finer ha realizzato con questa opera il sogno di farsi orologiaio del tempo musicale, in risposta al suo desiderio di dare riscontro alle grandi domande dell’universo. Immaginare di comporre una musica che duri mille anni è una scelta filosofica, una sfida all’impermanenza, alle idee di fine, di conclusione, di esaurimento della creatività: la musica è una distesa sonora che attraversa il tempo come un lento fiume, suggerendo che il senso dell’esistenza non è nella conclusione, ma nel viaggio stesso.
La composizione parte da una registrazione di venti minuti e venti secondi, suonata da una serie di antiche campane tibetane. Da questa matrice, un algoritmo si occupa di scandire ogni possibile combinazione di sei sezioni, caratterizzate dallo scorrere di sequenze che si rinnovano ogni due minuti, senza ripetersi fino al completamento del millennio. Le reminiscenze di errori improvvisi, di improvvisazioni che sfuggono dal controllo, diventano parte della ricchezza artistica di <Longplayer>: “Le cose più interessanti nascono dai grandi sbagli”, confida Finer, “quando qualcosa sfugge alla previsione, prende la propria strada e, infine, ritrova il proprio posto all’interno del flusso.”
Il progetto, per garantire la sopravvivenza nel tempo, è dotato di tecnologie antiche, soluzioni meccaniche composte da leve e ingranaggi. La scelta delle campane tibetane è dovuta al fatto che oltre ad essere robuste e longeve, hanno la capacità di attraversare millenni senza suonare “datate” come potrebbero fare altri strumenti contemporanei; si accordano con facilità, non si “rompono” sotto il peso dei secoli, e producono un riverbero che sconfina nel mistico, capace di suggerire all’ascoltatore la presenza di qualcosa che va oltre la semplice percezione.
La manutenzione di <Longplayer> è un processo che va oltre la semplice gestione tecnica: si tratta di un vero e proprio atto di cura, affidato a una comunità di custodi riuniti nella <Longplayer Trust>. Ogni giorno, questa organizzazione monitora attentamente il funzionamento delle installazioni, sia dal punto di vista informatico che acustico, garantendo che le campane tibetane e i sistemi mantengano la loro efficienza e integrità nel tempo.
Questa idea della manutenzione, del passaggio di testimone, si traduce anche in un modello di resistenza contro il consumismo che vuole tutto subito, come la sostituzione di ogni cosa prima ancora che abbia adempiuto alla propria funzione. <Longplayer> offre una prospettiva diversa, in cui la bellezza risiede nella durata, nella cura, nell’attenzione alla sopravvivenza.
Finer parla di “responsabilità sociale”, di un compito collettivo che non riguarda solo la musica, ma la capacità stessa di mantenere viva una cultura. Il progetto si adatta al cambiamento dei tempi: la partitura grafica di <Longplayer>, pensata per essere facilmente adattabile, può essere eseguita da computer, da strumenti meccanici, da orchestre e, addirittura, dalle voci umane. Non vi è limite a quel che la musica può diventare, se non quello della volontà dei suoi custodi: la composizione può essere affidata a futuri strumenti che ancora non esistono, oppure ad ensemble di voci; nessuna tecnologia è eterna, ma l’idea lo può essere. Finer vede la sua opera come una “sfida di comunità”, una chiamata a responsabilità. Si tratta di una meditazione collettiva su ciò che significa essere mortali, partecipi di un ciclo che ci supera e, al tempo stesso, ci include.
Il futuro di <Longplayer> non è scritto. Può accadere che Londra finisca sott’acqua, che la memoria degli uomini cambi radicalmente, che le tecnologie diventate oggi familiari siano sostituite da scelte inaspettate. Finer immagina che, in fondo, il segreto della durata sia la capacità di adattamento. “Se non resta nulla, c’è il fiato. Anche la voce umana può essere Longplayer.” Alla fine del millennio, la musica non si ferma: “Come la pioggia, come il ciclo del tempo, ricomincia da capo.” Un segno che l’eternità non è nella stasi, ma nella capacità di ripetersi, sempre diversa.
(Virginia Nicoletti)