(Federica Cannas) – Santiago, primi anni Ottanta. Le strade respirano un silenzio denso, tagliente, lo stesso che cala quando la paura diventa abitudine. Le finestre sono chiuse, i passi rapidi, gli sguardi bassi. Chi attraversa la città sa che ogni parola può essere intercettata, ogni gesto può attirare attenzioni indesiderate. È la dittatura di Pinochet a imporre il suo ordine. Un ordine fatto di obbedienza, di direzioni obbligate.
Ma un giorno, in quella rigidità soffocante, accade qualcosa di minimo eppure così rivoluzionario. Una donna si china sull’asfalto. Ha in mano una striscia di nastro bianco. Sceglie una linea pedonale e la attraversa con una barra orizzontale. Una seconda linea, che incrocia la prima. Un gesto apparentemente insignificante, un segno quasi infantile. Eppure, da quell’attimo, lo spazio urbano cambia senso.
Quella donna è Lotty Rosenfeld. Con quel tratto bianco apre una crepa nella rigidità del potere. La strada, che fino a un istante prima dettava solo ordine e disciplina, diventa luogo di dissenso.
Un gesto che è ribellione sottile, un atto poetico che scivola sotto gli occhi dei soldati. È un linguaggio diretto, immediato, che dialoga con la città e con chi la attraversa. Un linguaggio che non ha bisogno di spiegazioni, perché è universale. Tutti sanno cosa significa vedere un segno inaspettato, che incrina la normalità.
Con il collettivo CADA (Colectivo de Acciones de Arte), Lotty ha trasformato Santiago in un immenso laboratorio politico.
Lasciavano segni, distribuivano latte nei quartieri poveri, issavano striscioni inattesi, occupavano lo spazio con azioni che disturbavano la quiete forzata della dittatura. Ogni gesto significava libertà.
Quella croce sull’asfalto rappresentava una domanda. Davvero dobbiamo accettare di camminare tutti nella stessa direzione? Era un invito a fermarsi, a pensare, a deviare. Un piccolo segno geometrico che indicava un’altra possibilità, dove l’obbedienza era imposta con la violenza.
Rosenfeld sapeva che le sue azioni erano effimere. Ma proprio lì stava la forza del suo lavoro. L’impatto immediato, la memoria che si imprimeva in chi assisteva. L’arte serviva a scuotere.
Ció che colpisce è la radicalità di quella semplicità. Un tratto in più, una deviazione minima, e tutto cambia.
Oggi, quando camminiamo tra le strade del mondo, i segni di Lotty Rosenfeld ci fanno riflettere sul fatto che una croce tracciata di notte sull’asfalto, in clandestinità, ha provato a suggerire di fermarsi un istante e scegliere un cammino diverso.
La sua arte sopravvive come un avvertimento e un invito. Avvertimento, perché ci ricorda quanto sia fragile la libertà quando ci si abitua a camminare senza domande. Invito, perché ci mostra che non servono grandi mezzi per scalfire l’inerzia. Basta il coraggio di un segno, il gesto ostinato di chi non accetta la linearità del potere.
Le strade continuano a essere percorse da milioni di passi distratti. Ma ogni volta che qualcuno decide di fermarsi, di deviare, di lasciare una traccia fuori dall’ordine imposto, lì, invisibile ma presente, c’è la mano di Lotty Rosenfeld.
Ma un giorno, in quella rigidità soffocante, accade qualcosa di minimo eppure così rivoluzionario. Una donna si china sull’asfalto. Ha in mano una striscia di nastro bianco. Sceglie una linea pedonale e la attraversa con una barra orizzontale. Una seconda linea, che incrocia la prima. Un gesto apparentemente insignificante, un segno quasi infantile. Eppure, da quell’attimo, lo spazio urbano cambia senso.
Quella donna è Lotty Rosenfeld. Con quel tratto bianco apre una crepa nella rigidità del potere. La strada, che fino a un istante prima dettava solo ordine e disciplina, diventa luogo di dissenso.
Un gesto che è ribellione sottile, un atto poetico che scivola sotto gli occhi dei soldati. È un linguaggio diretto, immediato, che dialoga con la città e con chi la attraversa. Un linguaggio che non ha bisogno di spiegazioni, perché è universale. Tutti sanno cosa significa vedere un segno inaspettato, che incrina la normalità.
Con il collettivo CADA (Colectivo de Acciones de Arte), Lotty ha trasformato Santiago in un immenso laboratorio politico.
Lasciavano segni, distribuivano latte nei quartieri poveri, issavano striscioni inattesi, occupavano lo spazio con azioni che disturbavano la quiete forzata della dittatura. Ogni gesto significava libertà.
Quella croce sull’asfalto rappresentava una domanda. Davvero dobbiamo accettare di camminare tutti nella stessa direzione? Era un invito a fermarsi, a pensare, a deviare. Un piccolo segno geometrico che indicava un’altra possibilità, dove l’obbedienza era imposta con la violenza.
Rosenfeld sapeva che le sue azioni erano effimere. Ma proprio lì stava la forza del suo lavoro. L’impatto immediato, la memoria che si imprimeva in chi assisteva. L’arte serviva a scuotere.
Ció che colpisce è la radicalità di quella semplicità. Un tratto in più, una deviazione minima, e tutto cambia.
Oggi, quando camminiamo tra le strade del mondo, i segni di Lotty Rosenfeld ci fanno riflettere sul fatto che una croce tracciata di notte sull’asfalto, in clandestinità, ha provato a suggerire di fermarsi un istante e scegliere un cammino diverso.
La sua arte sopravvive come un avvertimento e un invito. Avvertimento, perché ci ricorda quanto sia fragile la libertà quando ci si abitua a camminare senza domande. Invito, perché ci mostra che non servono grandi mezzi per scalfire l’inerzia. Basta il coraggio di un segno, il gesto ostinato di chi non accetta la linearità del potere.
Le strade continuano a essere percorse da milioni di passi distratti. Ma ogni volta che qualcuno decide di fermarsi, di deviare, di lasciare una traccia fuori dall’ordine imposto, lì, invisibile ma presente, c’è la mano di Lotty Rosenfeld.