(Federica Cannas) – Le redazioni di fine Ottocento erano luoghi densi di fumo e tavoli ingombri di bozze. In quell’universo fece il suo ingresso una donna minuta, Matilde Serao, che inventò un linguaggio nuovo, capace di intrecciare cronaca e vita vera.
Figlia di un esule politico greco e di una maestra napoletana, crebbe in una Napoli rumorosa, popolare e teatrale, che diventerà la sua inesauribile fonte d’ispirazione. Non scelse la via più semplice, scegliendo la scrittura. Prima romanzi, poi articoli, fino a fondare giornali che ancora oggi portano la sua impronta.
Serao fu la prima italiana ad aver fondato e diretto un quotidiano, il Corriere di Roma, nel 1878. Un primato assoluto, in un’epoca in cui le redazioni erano dominate dagli uomini e la stampa era un territorio quasi proibito alle donne. Qualche anno dopo, insieme al marito Edoardo Scarfoglio, diede vita a Il Mattino, destinato a diventare il giornale più letto del Mezzogiorno. Ma non le bastava. Quando i contrasti con il marito divennero insanabili, prese la decisione più audace e fondò da sola Il Giorno, quotidiano di battaglie e di modernità. Una donna che crea un giornale nel cuore di Napoli, a fine Ottocento. Già solo per questo, basterebbe ricordarla.
Ma fu molto di più di una pioniera. La sua scrittura mescolava rigore e sentimento, cronaca e vita vera. Non le interessava il giornalismo come pura notizia, voleva raccontare i destini, le voci, i gesti della gente comune. Nei suoi articoli ci sono le lavandaie e i pescatori, i quartieri poveri e i salotti aristocratici, le strade polverose e i caffè scintillanti. Con lei il giornalismo diventa anche racconto sociale.
Un episodio della sua vita racconta bene la sua determinazione. Ancora giovanissima, partecipò al concorso per diventare impiegata alle Poste, l’unico impiego pubblico a cui le donne potessero aspirare. Arrivò prima su centinaia di candidati, dimostrando un talento che nessuno poteva negarle. Ma fu respinta perché donna. Una ferita, certo, ma anche la molla che la spinse a cercare un’altra strada. Se quelle porte erano chiuse, lei ne avrebbe aperto di nuove. È la stessa energia che ritroveremo nei suoi giornali, nel suo modo di raccontare il mondo.
Amava definirsi “la donna del popolo”, ed è vero che nella sua prosa vibrano l’umanità e le contraddizioni della Napoli di allora. Ma Serao era anche una donna moderna, cosmopolita, che conosceva Parigi e amava le innovazioni tipografiche, che guardava al giornalismo europeo senza complessi di inferiorità. Sapeva che per affermarsi non bastava saper scrivere. Serviva visione, intraprendenza, capacità di organizzare una redazione. E lei seppe fare tutto questo.
C’è qualcosa di sorprendentemente attuale nella sua figura. Più di un secolo fa una donna poteva guidare una testata con carisma e autorevolezza, dando al giornalismo un tono nuovo, capace di intrecciare cronaca, denuncia e letteratura.
Se oggi parliamo di giornalismo al femminile, lo dobbiamo anche a lei. Non come categoria a parte, ma come affermazione di un punto di vista che arricchisce il racconto del mondo.
E così, tra una tipografia e un caffè, tra i vicoli di Napoli e i romanzi che ancora si leggono, forse aveva ragione lei, quando diceva che le parole sono vive. Le sue, a distanza di più di un secolo, lo sono ancora.