Antonio De Curtis, in arte Totò (Napoli, 1898 – Roma, 1967), è senza dubbio una delle figure più iconiche e amate del cinema italiano. Attore, commediografo, poeta e paroliere, la sua carriera ha attraversato quasi cinquant'anni, lasciando un'impronta indelebile nella cultura popolare e nell'arte della comicità.
Totò iniziò la sua carriera nel varietà e nell'avanspettacolo, dove affinò quel repertorio di smorfie, movenze e giochi di parole che lo avrebbero reso celebre. La sua presenza scenica, caratterizzata da un corpo elastico e da un volto estremamente mobile, lo rese un mimo eccezionale, paragonato da alcuni critici a figure del calibro di Buster Keaton.
Negli anni '30, Totò approdò al cinema, ma fu soprattutto a partire dagli anni '40 e '50 che la sua popolarità cinematografica esplose. Sebbene la critica dell'epoca non sempre lo apprezzasse appieno, il pubblico lo amava incondizionatamente, rendendo i suoi film veri e propri successi al botteghino. Totò era un “affare” per i produttori: i suoi film erano veloci da girare, costavano poco e garantivano incassi strepitosi.
La filmografia di Totò è vastissima, con oltre cento titoli. Molti di questi erano commedie leggere, spesso costruite attorno alla sua maschera comica. Film come “Totò a colori” (1952) sono considerati una vera e propria antologia del suo repertorio teatrale, con scene come quella del vagone letto girate quasi per intero secondo le sue indicazioni.
Tra i suoi lavori più celebri e amati dal pubblico si ricordano:
– “Guardie e ladri” (1951), di Steno e Mario Monicelli, dove dimostra la sua versatilità interpretativa affiancando il dramma alla comicità. Questo film gli valse il Nastro d'Argento come migliore attore protagonista.
– “Miseria e nobiltà” (1954), di Mario Mattoli, un classico della comicità italiana.
– “Siamo uomini o caporali?” (1955), di Camillo Mastrocinque, un film in cui Totò espresse le sue riflessioni sulla vita e la società.
– “Totò, Peppino e la malafemmina” (1956), un altro film iconico che lo vide al fianco di Peppino De Filippo.
– “I soliti ignoti” (1958), di Mario Monicelli, dove Totò dimostrò la sua capacità di inserirsi in un contesto di commedia all'italiana corale.
Nonostante la maggior parte della sua produzione fosse incentrata sulla comicità, Totò dimostrò anche una notevole profondità in ruoli più drammatici, come nell'episodio “Il guappo” de “L'oro di Napoli” (1954) di Vittorio De Sica, o in “Uccellacci e uccellini” (1966) di Pier Paolo Pasolini, film che gli valse un altro Nastro d'Argento come migliore attore.
La critica ha spesso dibattuto se la maschera di Totò, così potente e riconoscibile, limitasse la sua capacità di interpretare personaggi più complessi. Tuttavia, è innegabile che la sua comicità surreale riusciva a irrompere anche in contesti drammatici, creando un contrasto unico e spesso geniale. Totò stesso non si curava delle etichette, convinto che la sua arte non avesse bisogno di essere sempre diversa per essere grande, paragonandosi a Charlot e Musco.
Totò ha saputo rappresentare l'incontro tra la tradizione della commedia dell'arte, la spontaneità dell'avanspettacolo e l'anima malinconica della sua Napoli. La sua capacità di far ridere, spesso con gag verbali e fisiche, nascondeva una profonda intelligenza e una satira acuta delle ipocrisie sociali.
Ancora oggi, a decenni dalla sua scomparsa, Totò rimane un punto di riferimento insuperabile per la comicità italiana. I suoi film continuano a divertire e a far riflettere, dimostrando l'eternità di un genio che, con la sua maschera e le sue interpretazioni, ha saputo raccontare l'Italia e gli italiani. La sua arte, vitale e intensa, non aveva bisogno di film d'arte per rivelarsi, ma solo di un pretesto per sprigionarsi in modo autonomo e indifferente alle convenzioni. È per questo che, come sosteneva Alberto Moravia, il suo valore non risiede in pochi film di qualità, ma nella totalità della sua vasta e eterogenea filmografia.