«Voglio essere libero, libero come un uomo
Vorrei essere libero come un uomo»
(“La Libertà” – Brano di Giorgio Gaber)
(Daniele Cardia) – Voglio essere libero avrebbe voluto gridarlo, Beniamino Zuncheddu, per 33 anni di seguito, ma la legge e lo Stato non gliel’hanno permesso. Siamo andati a Burcei, piccolo paese a quaranta chilometri da Cagliari. Ci siamo presentati nella casa della sua famiglia con un vassoio di dolci sardi, come la tradizione sarda comanda: siamo stati accolti dalla sorella e da Beniamino con un gran bel sorriso. Ci siamo accomodati e preso insieme un caffè preparato proprio da Beniamino. Sorseggiando il nostro caffè bollente, abbiamo iniziato una bella conversazione.
Tutto è iniziato tutto l’8 gennaio 1991. Beniamino aveva 26 anni. Quella sera mentre stava cenando con la sua Famiglia, si presentarono due carabinieri che lo arrestarono. Fu arrestato con l’Accusa del Triplice Omicidio, di Gesuino e Giuseppe Fadda e di Ignazio Pusceddu, e del ferimento di Luigi Pinna. Sin da subito, con le manette ai polsi, Beniamino si è sempre dichiarato innocente.
Accusato e incarcerato, accusato da un testimone che, su pressione di un carabiniere, lo riconobbe in una foto che però non corrispondeva all’identikit dell’assassino. Così si ritrova chiuso in carcere e inizia una fetta importante della sua vita però dietro le sbarre: dal carcere di Buon Cammino a Cagliari, a quello di Nuoro “Badu ‘e Carros”, a Uta (a 20 km da Cagliari).
Beniamino ha raccontato che, quando fu emessa la sentenza di condanna all’ergastolo (fine pena: mai!), gli crollò il mondo addosso.
Trentatré anni in carcere “vanno passati” ci racconta, e per non pensare a ciò che stava accadendo realmente fece un po’ di tutto, soprattutto lavorare. Noi poi, goliardicamente gli chiediamo come ha fatto tutti quegli anni senza donne. Ma da buon sardo pronto alla “battuta” ridendo, ci ha risposto che bisogna provare un po’ di tutto, anche coi giornaletti e qualche rivista. Questo aspetto fondamentale della vita umana è sempre trascurato anzi cancellato per chi si trova, per motivi indipendenti dalla sua volontà, privato della libertà.
Se per trent’anni è stato rinchiuso in carcere da innocente, anch’io, gli spiego, sono stato privato per ventotto anni della mia libertà da un’infida malattia a cui però ho sempre cercato di strappare il tempo per le mie esperienze e “birichinate” adolescenziali, di gioventù e di vita. La malattia mi ha impedito per lunghi periodi di fare le cose che fanno i tutti ragazzi, di vedere tutti i giorni la luce del sole. Poi, quando si esce, bisogna ritrovare il passo della vita, allenarsi, anzi ri-allenarsi alla quotidianità, anche a camminare.
Beniamino conferma che l’impatto con l’agognata libertà non è semplice. Sopravvivere in carcere da Innocente richiede una grande forza di volontà. Beniamino ne ha avuta tanta, ma non nasconde la fatica per riprendere la quotidianità da uomo libero. Oggi ha 60 anni e trascorre le giornate andando a fare qualche passeggiata, ogni tanto uscire con gli amici di sempre. Ci fa anche sorridere, quando ci dice, che all’orto non ci va, perché è troppo vecchio, “mica deve prendere su picco a questa età”.
Beniamino finalmente è libero, grazie all’avvocato Trogu, alla giornalista Irene Testa, alla dottoressa Nanni, al parroco di Burcei, e tutto il piccolo paese.
Quella di Beniamino Zuncheddu è una storia italiana, di un iter lungo e laborioso della giustizia e dello Stato, per il riconoscimento (che ancora non è arrivato) di un’indennità, per averlo privato da innocente della sua libertà negli anni della gioventù. Da Burcei e da tutta l’Italia è partita una raccolta firme per promuovere la “Legge Zuncheddu”, affinché sia snellito e facilitato l’iter per il riconoscimento dell’indennità a chi, da innocente, sia stato ingiustamente detenuto.