(Federica Cannas) – Ci sono campioni che si distinguono per i gol, i trofei, i record. E poi c’è Gianluca Vialli. Che ha regalato al calcio qualcosa di più: la sua umanità. Parlare di lui non significa solo ricordare le sue prodezze sul campo, ma anche raccontare un leader diverso da tutti, capace di unire intelligenza, sensibilità e carisma in un modo che pochi sportivi hanno saputo fare.
Vialli non era solo un attaccante straordinario, ma un calciatore che pensava e che era capace di suonare armonie perfette sul campo da gioco, tanto da meritare il soprannome di StradiVialli, scelto per lui dal grande Gianni Brera. Non era il tipo di giocatore che si limitava a seguire gli schemi: li creava, li trasformava, li reinventava. In campo era un artista, ma con i piedi ben piantati per terra, capace di coniugare la classe innata con una dedizione assoluta al lavoro.
Alla Sampdoria aveva trovato la sua prima casa, un luogo dove il calcio si intrecciava con la poesia di un sogno. Una squadra che sembrava uscita da una favola: libera, spensierata, ma mai priva di sacrificio. Con Roberto Mancini al suo fianco, Gianluca non era solo un attaccante fenomenale, ma il simbolo di un’epoca irripetibile, di uno Scudetto che trasformò Genova in un teatro di gioia. Alla Samp, Vialli non indossava semplicemente una maglia, era quella maglia: il cuore che batteva per i colori blucerchiati, la voce che univa una città intera. Ma il destino lo chiamò altrove, verso Torino, verso la grande Juve. E qui, il ragazzo dal sorriso eterno si trasformò in un condottiero.
La sua eredità non si misura solo in gol e trofei, ma nell’impronta lasciata nei cuori di colleghi, tifosi e amici. Gianluca Vialli non è stato soltanto un calciatore: è stato un simbolo di ciò che di meglio il calcio può rappresentare.
Il suo pensiero vincente resterà per sempre un faro per chiunque si trovi a combattere le proprie battaglie, un esempio di come si possa vivere con dignità, amore e passione, lasciando un’eredità che va ben oltre il campo da calcio.