Life Dances On: Robert Frank in Dialogue (La vita danza: Robert Frank in dialogo) è la prima mostra personale dell’artista statunitense al MoMa. L’esposizione offre una nuova prospettiva sull’ampia produzione artistica dell’artista, esplorando i sei decenni vibranti della sua carriera successivi alla pubblicazione nel 1958 del suo celebre fotolibro The Americans.
In concomitanza con il centenario della nascita di Frank, la mostra esplora la sua incessante sperimentazione attraverso diversi media, tra cui fotografia, cinema e libri, oltre ai dialoghi con altri artisti e le sue comunità. Negli spazi del museo newyorkese sono esposte circa 200 opere realizzate nell’arco di 60 anni, fino alla morte dell’artista nel 2019, molte delle quali provenienti dall’ampia collezione del MoMA, insieme a materiali mai esposti prima.
Il titolo della mostra è tratto dal toccante film del 1980 di Frank, in cui l’artista riflette sulle persone che hanno plasmato la sua visione del mondo. Come gran parte del suo lavoro, il film è ambientato a New York e a Cape Breton, in Nuova Scozia, dove lui e sua moglie, l’artista June Leaf, si trasferirono nel 1970. Nel film, Leaf guarda verso la telecamera e chiede a Frank: “Perché fai queste immagini?” Durante l’introduzione alla proiezione del film, Frank rispose: “Perché sono vivo.”
L’installazione: Robert Frank’s, Scrapbook Footage
Robert Frank è noto soprattutto per le sue fotografie di un’America del dopoguerra lacerata da discordie sociali e politiche, e per i film realizzati con i poeti della Beat Generation e i Rolling Stones. Tuttavia, le immagini filmate scoperte solo dopo la sua morte, avvenuta nel 2019, potrebbero sorprendere alcuni spettatori. Nascosti in luoghi di deposito, questi contenitori di pellicola e nastri, contenenti riprese che coprono gli anni dal 1970 al 2006, offrono uno sguardo inedito sulla vita e sul lavoro dell’artista.
In collaborazione con la June Leaf and Robert Frank Foundation, la storica montatrice di Frank, Laura Israel, e il direttore artistico Alex Bingham hanno utilizzato questi frammenti per creare un album visivo in movimento. Con proiezioni su più schermi, l’installazione trasmette l’intimità e l’immediatezza delle osservazioni di Frank su famiglia, amici e collaboratori, così come su interni domestici e paesaggi urbani e costieri.
Il materiale in questa installazione, cucito insieme da Israel e Bingham per evocare lo sguardo inquieto e la voce di Frank, getta nuova luce sul suo processo artistico—al contempo ironico e malinconico. Lo osserviamo mentre viaggia tra le sue case a New York e in Nuova Scozia; lungo le strade aperte degli Stati Uniti e del Canada; e attraverso paesaggi urbani, inclusi quelli di Beirut, Il Cairo, Mosca e della sua nativa Svizzera. Frank rende senza tempo i piaceri più fugaci: un bagno caldo e un bollitore fumante, uno sguardo alla moglie June Leaf nel suo studio, il gioco della luce del sole sulla sua mano.
L’installazione è organizzata da Joshua Siegel, Curatore del Dipartimento di Cinema, e Lucy Gallun, Curatrice del Dipartimento di Fotografia, con Kaitlin Booher, Beaumont and Nancy Newhall Curatorial Fellow, Dipartimento di Fotografia.
Il rapporto dell’artista con il MoMa: il grande archivio filmografico
Riconoscendo la sua relazione unica e importante con il MoMA, nel 2015 Frank ha donato tutti i suoi materiali filmici e video unici alla collezione del museo. Queste opere abbracciano l’intera carriera di Frank nel mondo dell’immagine in movimento, dal suo psicodramma Beat del 1959 Pull My Daisy (co-diretto con Alfred Leslie e interpretato dai poeti Allen Ginsberg, Peter Orlovsky e Gregory Corso; dagli artisti Larry Rivers e Alice Neel; dall’attrice Delphine Seyrig; con la narrazione di Jack Kerouac) al suo video del 2008 Fernando, un toccante ritratto di un amico artista svizzero, e Harry Smith at the Breslin Hotel, 1984 (2017).
Non semplice complemento alla sua fotografia, i film di Robert Frank hanno profondamente trasformato il suo approccio alla creazione di immagini. Mosso da inquietudine e da una passione per il rischio sperimentale, Frank abbandonò in gran parte la fotografia per dedicarsi al cinema alla fine degli anni ’50. Quando tornò alla fotografia negli anni ’70, il suo lavoro divenne meno prezioso e singolare: iniziò a manipolare le immagini statiche in vari modi, graffiando e dipingendo direttamente sulla superficie del negativo o dell’emulsione, realizzando collage e montaggi. Film come Conversations in Vermont (1969) e About Me: A Musical (1971), ritratti autobiografici della vita familiare e comunitaria, furono precursori di progetti profondamente personali e intimi come il libro d’artista del 1972 The Lines of My Hand. L’apparente qualità improvvisativa di questi film portò Frank a interessarsi alle gratificazioni immediate offerte dalle Polaroid.