(Federica Cannas) William Shakespeare non è solo il più grande drammaturgo di tutti i tempi. È un codice narrativo che continua a funzionare, una macchina perfetta che attraversa i secoli senza perdere efficacia. Ha scritto storie che si replicano all’infinito, adattandosi a ogni epoca, come se avesse progettato un algoritmo in grado di prevedere le nostre emozioni, le nostre ambizioni, le nostre paure.
Il suo teatro mescola tragedia e commedia, amore e morte, potere e fallimento, costruendo modelli che ancora oggi dominano film, serie TV, romanzi e persino le dinamiche dei social media. Le sue strutture narrative non si sono mai esaurite. Continuano a essere rielaborate. Se lo osserviamo da questa prospettiva, Shakespeare non è solo un autore del passato, ma una sorta di sistema operativo della narrazione moderna.
La sua capacità di leggere l’animo umano è impressionante. Ha creato personaggi universali, modelli psicologici così precisi da sembrare anticipazioni della nostra epoca.
Pensiamo a Macbeth. Un uomo divorato dall’ambizione, disposto a tutto pur di ottenere il potere. La sua parabola di ascesa e caduta si ripete ovunque: in politica, nella finanza, nelle aziende in cui qualcuno, accecato dal successo, arriva a tradire e a perdere tutto. È una storia che vediamo nelle cronache di ogni giorno.
Amleto è il simbolo del dubbio paralizzante, dell’incertezza che blocca l’azione. Oggi, forse, sarebbe un uomo sommerso dalle informazioni, incapace di prendere una decisione mentre scorre all’infinito notizie contraddittorie e opinioni divergenti. Il suo celebre to be or not to be potrebbe essere il dilemma di chi si chiede se restare fermo o agire, se ribellarsi o adattarsi.
E poi ci sono Romeo e Giulietta. Oggi la loro storia si consumerebbe tra messaggi non letti, chiamate perse e profili bloccati. Sarebbero due giovani separati da famiglie, da regole, dalla società.
Re Lear racconta il declino di un uomo potente che, nel tentativo di dividere il suo regno tra le figlie, finisce tradito e solo. È il dramma della vecchiaia e della perdita del controllo, il momento in cui ci si rende conto troppo tardi di chi ci ha amato davvero e chi, invece, ha solo approfittato del nostro potere. Una vicenda che oggi potrebbe adattarsi alle grandi dinastie economiche, agli imperi industriali che si sfaldano quando il fondatore si ritira, lasciando il comando a eredi inadatti.
Molto rumore per nulla parla di pettegolezzi, malintesi e reputazioni rovinate per un equivoco. È la stessa dinamica che vediamo oggi nel mondo dell’informazione online, dove una voce si trasforma in un’ondata virale capace di distruggere la vita di una persona.
Shakespeare continua a essere attuale perché la sua opera funziona come un’intelligenza narrativa perfetta. Assorbe la realtà, la rielabora e la restituisce sotto forma di racconto. Se fosse nato oggi, probabilmente scriverebbe sceneggiature per serie di successo, creerebbe personaggi per il cinema, collaborerebbe con i più grandi autori di storytelling digitale.
Le sue parole sono ovunque. Non lo leggiamo solo nei libri di scuola, ma nei film, nei testi delle canzoni, nei titoli dei giornali. La sua influenza è nascosta nelle storie che ci appassionano, nei conflitti che continuiamo a raccontare. Perché Shakespeare non smette mai di funzionare. Continua ad aggiornarsi, a ispirare, a essere il codice eterno delle emozioni. E non va mai in crash.